AMARCORD
Se ci passi fai un viaggio indietro nel tempo: Palermo ai tempi (d'oro) del Cantiere navale
Un tuffo nella città degli anni Sessanta. Quando al Cantiere Navale lavoravano più di 3mila operai e c'erano la mensa (oggi abbandonata) e il campetto di calcio
L'ex mensa del Cantiere Navale di Palermo (foto di Toni Gagliano)
Appena passata piazza Acquasanta e imboccata la via Gulì, un suono lancinante trapassò le nostre teste da orecchio a orecchio: "Eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!". Mio padre subito imprecò: «Porca miseria, mezzogiorno è! Me lo sono scordato! Min……..aaa!!!»
«Che c’è, Papà, che è successo?», chiesi io quasi impaurito da quel suono insistente e fastidioso, nonché dalle parole di mio padre.
«Non ci ho pensato - rispose lui -, è mezzogiorno e adesso vedi che succede…».
Un fiume umano in piena circondò la nostra auto ferma sulla via. Sembrava di essere in balìa di una corrente impetuosa… Sì, eravamo ben fermi, per carità, ma, credetemi, tutta quella gente che ci passava da lato a lato ci dava l’impressione che venissimo spostati con l’auto!
La tanto agognata meta di quei famelici esseri umani era la mensa situata proprio di fronte alla Manifattura Tabacchi, all’angolo con la via Simone Gulì e la via Giordano Calcedonio (dove c’è il campo di calcio del Cantiere Navale).
Consideriamo che al quel tempo, fine anni ’60 e inizio ’70, al Cantiere Navale lavoravano almeno tremila operai e potete così immaginare quante persone in quel momento stavano attraversando la strada. Bei tempi per il mondo del lavoro palermitano!
Ma torniamo a noi. Restammo fermi dieci minuti belli e buoni, appena il flusso di persone scemò un poco, mio padre mise in moto l’auto e riprendemmo il cammino dirigendoci per via dei Cantieri verso il cavalcavia del mercato ortofrutticolo.
«Ora che lo sai - mi disse mio padre -, cerca di evitare di transitare di qua a quest’ora, hai visto che significa, significa che si resta bloccati e se capita che hai premura sei fottuto!»
«Scusa, papà, ma non avresti potuto suonare il clacson per chiedere di passare?», gli chiesi innocentemente.
«Seeee, vabbéééé! – rispose ridendo mio padre – Ma tu hai idea di quanti pugni sui cofani e sugli sportelli avremmo preso? Avrebbero cambiato i connotati della macchina!». E rideva ancora!
E voi cosa pensate, cari amici, non credete che ogni volta che passo dal quel luogo, ormai abbandonato e in rovina, io non pensi a questo bell’episodio vissuto col mio compianto papà?
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