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Se ami il mistero non puoi non conoscerla: la Rocca di Aci Castello e i suoi tre "segreti"

Le leggende della Rocca di Aci Castello sono tracce di memoria orale, di paure incognite e di apparizioni terrificanti, e hanno tutte il fascino perverso dell’ineffabile

  • 4 agosto 2020

La Rocca di Aci Castello

Ci sono luoghi, in Sicilia, in cui il mare è la quinta scenica di piccoli borghi, un corollario turchese che li abbraccia e li costringe alla loro insularità perenne; e ci sono luoghi nei quali il mare è tutto e le città, se esistono, quasi affiorano da esso - come lave di pietra - intanto che le onde provano a fagocitarle roboando minacciose e ossessive.

Aci Castello, con la sua Riviera dei Ciclopi, ha nel mare il suo destino di bellezza: un tratto di costa siciliana che affonda nel mito omerico da Aci e Galatea e passando per Ulisse e Polifemo fino ai Malavoglia di Giovanni Verga. Sì, perché Aci Trezza è una frazione del paese, un vero e proprio minuscolo borgo di pescatori che commuove nel richiamo di memoria a quelle vite soverchiate da un destino tragico e destinato.

È un luogo così esemplare di se stesso che quando Luchino Visconti decise di girare “La terra trema” dal romanzo di Verga non poté fare altrimenti che scendere in Sicilia e andare proprio lì, ad Aci Trezza, filmando gli stessi abitanti del paese che ancora oggi incarnano quell’anima collettiva del melodramma popolare. Ma del verismo, in questa storia, non si fa cenno, perché è un racconto di affascinanti misteri che si svolgono intorno a uno dei luoghi più simbolici che ci siano in Sicilia: la Rocca di Aci Castello.
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Il maniero si erge su una rupe di origine vulcanica e ha tutto l’aspetto di una vera e propria fortezza sul Mar Ionio, che, nel corso degli anni, ha mutato di destinazione diventando prigione e poi museo civico.

Già la forma di questo promontorio basaltico ha qualcosa di criptico e sibillino, affondata com’è nel mito omerico - per il suo aspetto di risalita di magma dalle profondità del mare -, e il castello, distrutto dall’emiro arabo Ibrahim fu poi riedificato nello stesso punto dal califfo Al Moez, fu comunque opera della dominazione normanna e per primo ricevette le reliquie di Sant’Agata di ritorno da Costantinopoli.

Passando a sorti alterne tra le mani degli Angioini e degli Aragonesi, alla fine del Cinquecento fu adibito a carcere ed ebbe fama di luogo di morte, ma, per converso, salvò molte vite umane negli anni del secondo conflitto mondiale quando le sue segrete furono adibite a rifugio antiaereo.

Le leggende della Rocca di Aci Castello sono tracce di memoria orale, di paure incognite e di apparizioni terrificanti, e hanno tutte il fascino perverso dell’ineffabile. La prima storia è quella del cacciatore imprigionato.

Si narra infatti che un giorno un povero cacciatore, che si trovava nei pressi, ebbe a uccidere per sbaglio una gazza appartenente al governatore del castello, un uomo crudele e astioso, che lo fece imprigionare per tredici lunghi anni. Ma accadde poi che alla Rocca giungesse il gran duca di Massa, e in suo onore il cacciatore recluso intonò un canto dalle grate della cella; uditolo, il duca ne rimase talmente affascinato da volere conoscere l’uomo, e, saputo che si trattava di un prigioniero, dopo averne intesa la triste storia ne ordinò immediatamente la scarcerazione.

Un’altra leggenda, dal sapore squisitamente letterario, è quella impressa da Giovanni Verga nella novella “Le stoffe del Castello di Trezza”. Quasi affatturato dall’incanto misterioso del fortilizio, il grande scrittore raccontò la vicenda di don Garzia e di donna Violante, tra le complicazioni della passione e il cinismo del tradimento, con i fantasmi che si agitano sulla pagina dominando per intero questa sua strana e triste storia.

Più vicine nel tempo, invece, le dichiarazioni dell’ex custode, oramai deceduto, del castello, che pare abbia intravisto nelle stanze i fantasmi di alcuni antichi guerrieri, e dopo di lui ancora la testimonianza di due impiegate comunali che rimaste alla Rocca fino a tardi avrebbero udito atroci lamenti e uno stridore di catene dopo il quale fuggirono letteralmente terrorizzate. Altri episodi, minori, si raccontano a mezza voce su strane figure evanescenti e presenze ultraterrene che dimorano in quelle segrete a picco sul mare.

E forse che proprio il mare è il grande mistero di questo brano di costa bellissima, il richiamo del mito di Ulisse che pure catturato dal ciclope Polifemo, un colosso terrificante con un solo occhio in fronte, riuscì a fuggire grazie alla propria astuzia. Furioso, e disperato per la sua resa, il ciclope scagliò enormi massi di lava in mare nel tentativo di colpire Ulisse, e così nacquero l’isola Lachea e i Faraglioni, e il porto di Aci Trezza divenne per le antiche carte geografiche della Sicilia il Porto di Ulisse.

«E approdiamo come sperduti alle rive dei Ciclopi. Al riparo dai venti é un porto d’ampia quiete, ma là, da rupi orrende, tuoni a tratti l’Etna», così scrive Euripide, descrivendo l’approdo di Ulisse, nei pressi di quel meraviglioso vulcano che custodisce e sorveglia i segreti più antichi dell’isola, e conosce ogni storia e ogni fantasma fra quelli che si agitano alla Rocca di Aci Castello, mentre il mare imperversa sugli scogli imponente e senza sonno.
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