AMARCORD
Scommettiamo un pranzo da Spanò: quando pure la costa di Romagnolo era un paradiso
C’è stato un tempo molto lontano, in cui la famosa Costa Sud a Palermo era incantevole, l’aria profumava di iodio e il mare era cristallino e pieno di pesci
Il ristorante Spanò (foto del 1954 di Enzo Sellerio)
Vi sorgevano ville aristocratiche come quella in stile neogotico del marchese Ugo delle Favare, quella di Francesco Moncada principe di Larderia o quella del senatore Corradino Romagnolo (da cui la borgata prende il nome), che nel XVIII secolo aveva fatto innalzare come ex voto una colonna in marmo con l’immagine dell’Immacolata in via Messina Marine.
Nei primi anni del Novecento c’era la taverna del tiro al piccione ossia lo Stand Florio realizzato nel 1906 dall’architetto Ernesto Basile, con teatro di varietà all’aperto, campo di tiro con terrazza sul mare dove venivano serviti caffè, bibite e gelati; erano sorti i primi stabilimenti balneari e poi ne sarebbero aggiunti altri: i Bagni Petrucci, i Bagni Virzì, i Margherita, i risorgimento, il lido Elena, i Bagni castelli, il Savoja, lo stabilimento Trieste, lo Stabilimento Santa Rita, il lido lido Olimpo...
I più anziani, che abitavano in una Palermo che oggi si identifica a grandi linee col centro storico, ricordano che prendevano a noleggio la carrozza negli anni ‘50 del secolo scorso, per recarsi a Romagnolo da Spanò.
E se negli anni ’50 era una meta molto gettonata, dagli anni ’60, quelli del boom economico, divenne quasi un’istituzione per tante famiglie che vi festeggiavano eventi come matrimoni, battesimi e comunioni o che si riunivano con zii, nonni e cugini in lunghe tavolate, per il pranzo, quasi ogni domenica, deliziandosi con prelibatezze di ogni tipo e trascorrendo una giornata in allegria.
Dicono che si mangiasse il pesce più buono di tutta Palermo e c’è chi dopo oltre cinquant’anni ricorda il sapore dei calamari fritti … I proprietari erano simpatici, alla mano e il sig. Spanò era solito accogliere i clienti con garbo e gentilezza, accompagnandoli al tavolo.
Ad intrattenere i commensali, in un’atmosfera informale e rilassante, c’era poi un duo di musicisti, un chitarrista e un violinista (il maestro Ciprì).
Alcuni si ricordano anche di Carlo, che vendeva ostriche e granchi davanti al ristorante; altri del sig. Pippo, il figlio del fondatore del ristorante, che consigliava spesso le pietanze del giorno: era un parente dei proprietari, ma era impegnato nel locale solo la domenica, perché nei giorni feriali lavorava all’università.
Spanò fu uno tra i primi ristoranti a stupire la clientela allestendo all’ingresso della sala una grande barca: all’interno venivano predisposti gli antipasti a buffet, oppure a volte veniva esposto il pesce fresco.
Il ristorante era famoso per la pasta al forno e i cannelloni, i frutti di mare e il pesce fresco, pietanze prelibate ma semplici, che oggi farebbero forse storcere il naso agli chef stellati: vermicelli con vongole alla livornese (con aggiunta di pomodoro pelato), spaghetti con le cozze alla Tarantina (cozze sgusciate, aglio e prezzemolo).
Pasta con le sarde (vero cavallo di battaglia del ristorante, gli anziani del quartiere sostenevano che la gente veniva da tutto il mondo per mangiare la pasta con le sarde di Spanò), frittura di calamari, seppioline, gamberi; fritto romagnolo (fritto misto), sarde impanate alla milanese, polpo fresco, cernia alla marinara con patate, cotoletta di pesce spada....si poteva mangiare anche l’aragosta, che ai tempi non era molto costosa e veniva servita regolarmente con la maionese.
C’è chi ancora ricorda il sapore delle fragoline che negli anni ’50 erano una rarità, chi elogia la mozzarella in carrozza, e chi il pane caldo per fare la scarpetta dentro un riccio di mare appena aperto.
C’è anche chi rammenta con struggente nostalgia l’emozione di pranzare sull’acqua, il profumo del mare e il rumore dello sciabordio delle onde che arrivava sulla terrazza.
C’erano delle grandi tende bianche per ripararsi dal sole di giorno e dall’umidità la notte. Nelle calde sere d’estate si scorgevano da lontano sul mare le barche dei pescatori con le lampare accese. Tra i tavoli si aggiravano i ragazzini che vendevano mazzolini intrecciati di gelsomini o di plumerie.
Nella notte del Festino di Santa Rosalia i clienti si attardavano dopo cena, fino alla mezzanotte, per vedere i fuochi d’artificio nel Golfo di Palermo.
Qualcuno addirittura ricorda un desueto modo di dire: "Scommettiamo un pranzo da Spanò?" Sulla costa, c’erano locali di ristorazione per ogni tipologia di clienti e ogni possibilità economica: chi poteva permettersi di spendere poco andava a Sant’ Erasmo da ’Ngrasciata, alla fine di via Tiro a Segno, che era una osteria alla buona, anche se il cibo era ben cucinato.
Sulla via Messina Marine c’erano Spanò, Di Filippo (che era anche pasticceria) e Santo Palato. I clienti di Spanò, soprattutto negli anni ’50 e primi anni ’60, erano impiegati, professionisti, viaggiatori, personaggi del mondo dello spettacolo (come Franco Franchi o Modugno) o intellettuali come lo scrittore James Reynolds, che ricordò nel suo libro “Pageant of Italy” (1954) il delizioso cuscus degustato in questo celebre ristorante siciliano.
Un po' più avanti rispetto a Spanò c’era "L’Approdo" detto da Renato (di Gianni Botto) un locale veramente chic: ristorante stellato, inserito nella guida Michelin.
Un ambiente raffinato con cucina di alto livello. Il principe Mago Raniero Alliata vi tenne il suo pranzo di nozze. Spanò era più accogliente, Renato più di classe.
Sia Spanò che Renato avevano una cantina di vini pregiati d’eccellenza, ma quella di Renato era di fascia alta, con una carta dei vini veramente importante: si dice fosse la più ricca cantina da Roma in giù.
Purtroppo il ristorante Spanò venne chiuso nel 1987 e vandalizzato; tempo dopo anche il locale Renato chiuse i battenti e la cantina fu depredata: Romagnolo era ormai assediato dalle discariche, era stato deturpato dagli sversamenti di rifiuti edili in mare e dall’abusivismo edilizio.
Da anni la bellezza della costa e l’acqua trasparente del mare erano solo un vago ricordo… .
Scriveva Matteo Collura in "Sicilia sconosciuta" nel 1984: "Sembrano circhi smontati gli stabilimenti balneari di Romagnolo. Il mare inquinato li ha fatti svuotare, li ha resi tristi come vecchi fortini abbandonati… Una striscia di spiaggia morta… A Romagnolo c’è il Lido Petrucci, il primo uscendo dalla città, in direzione di Villabate.
L’inquinamento lo ha messo in ginocchio. Poteva essere considerato una piccola istituzione per i palermitani, con i suoi settant’anni e più di vita, con la sua orchestra serale, con le sue capanne popolari, con il suo mare consigliato dai medici per curare l’obesità, gli eczemi e altre malattie della pelle.
Quel mare che sino a pochi anni era considerato "curativo" grazie alla presenza di particolari alghe sprigionanti iodio, oggi, a giudicare dalle analisi fatte dalle autorità sanitarie, è insano".
E ancora la signora Petrucci racconta: «Ricordo che quando ero giovane in questo lido venivano i più importanti nobili di Palermo. Venivano con le carrozze. Per me era una grande emozione, ma anche gioia e soddisfazione».
Concludeva Collura che la morte della zona dei Bagni della Salute era «un’altra realtà di Palermo che stava scomparendo, un’altra pagina di storia cittadina strappata».
Sono trascorsi 40 anni da quando Collura scriveva queste parole… da anni si parla di riqualificare la cosidetta Costa Sud, di restituire il mare ai palermitani. Qualcuno – una decina di anni fa - aveva persino ipotizzato la realizzazione di un grande Acquario come quello di Genova, ma intanto il recente progetto di riqualificazione urbana è rimasto fuori dai fondi del Pnrr… .
«I progetti saranno attuati anche con altre fonti di finanziamento». stata la rassicurazione del sindaco Roberto Lagalla e dell’assessore alla Riqualificazione delle coste, Andrea Mineo…E allora, è proprio il caso di dire, come concludeva Aldous Huxley nell’introduzione di “Inchiesta a Palermo” (volume di Danilo Dolci del 1956) in riferimento al risanamento degli slums del centro storico: "Chi vivrà vedrà".
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