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Salvò le opere d'arte siciliane durante la guerra: il capitano Mason Hammond, eroe del bello

Mason Hammond, il professore di Harvard, grazie alla buona conoscenza della lingua italiana viene destinato all'operazione Husky cambiando il il destino di molte opere d'arte e di architettura dell'isola

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 28 settembre 2021

Mason Hammond

Da Washington ad Algeri e in poche settimane, nell'estate del 1943 in Sicilia, prima giunge a Cassibile con un C-47 e dopo aver visitato le città liberate tra Ragusa e Noto, arriva a Palermo, la prima città capoluogo europea liberata dalle truppe dell’Asse.

È la storia del Capitano statunitense Mason Hammond, professore di Lingua Latina, Letteratura e Storia Romana presso la Harvard University, antesignano dei Monuments men, eroe della tutela tra i primi ad interessarsi alla cura oggettiva e alla salvaguardia totale della bellezza italiana di Sicilia.

Nato a Boston nel 1903, Hammond, grazie alla buona conoscenza della lingua italiana viene destinato all'operazione Husky, fatto che cambia il destino di molte opere d'arte e di architettura dell'isola. Hammond da buon osservatore registra già in Nord Africa tra Leptis Magna e Sabrata i danni che le truppe occupanti possono arrecare ai luoghi occupati soprattutto alle opere d'arte e si spenderà con il comando alleato affinché la Sicilia non subisca trattamenti da “passaggio di cavallette” o almeno ci prova.
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Tre anni di bombardamenti pressoché costanti avevano fiaccato psicologicamente la popolazione isolana ed arrecato danni incalcolabili al patrimonio urbano e artistico. Hammond trovò un valido “alleato” culturale nel sovrintendente Mario Guiotto giunto in Sicilia nel dicembre dell'anno precedente e spesosi sin da subito e malgrado le scarsissime risorse a disposizione per la tutela del patrimonio monumentale in perenne rischio oggettivo.

Grazie agli studi condotti da Hammond già durante la campagna in Nord Africa attraverso lo studio e la sintesi dei volumi del Touring club italiano requisite al regio esercito in Libia, egli poté sin dal suo arrivo operare in stretta sinergia con studiosi italiani quali appunto Giuiotto e Ugo Perricone Engel, incontrando Bernabò Brea.

Quando giunge a Palermo nei primi giorni di Agosto, la città risulta danneggiata dappertutto, non possiede più uno skyline portuale che non sia macerie su macerie, soldati e ufficiali americani hanno avuto circa due settimane per garantirsi pregiati “souvenir” artistici. Hammond si mette subito a lavoro ponendosi al centro della rete intessuta con dirigenti e soprintendenti per approntare prima dell'inverno la maggior parte possibile di lavori di messa in sicurezza a protezione dei palazzi e delle chiese monumentali già predisposte dagli ottimi studiosi prima del suo arrivo.

In soli cinque mesi, Hammond costruisce una rete virtuosa di saperi resi operativi, gira in willy’s jeep l'isola e i siti più disparati, salva con la sua azione centralizzante tanta di quella bellezza pronta alla dispersione e all'oblio, è un eroe del bello.

Persino quando, colto da dissenteria, verrà ricoverato all'ospedale Policlinico, Hammond continuerà il suo lavoro di public ralations che verrà ripagato direttamente dal generale Eisenhower il quale, venuto a conoscenza dei danni e delle ruberie provocate dalle sue truppe, impegnerà i suoi comandi ad impedirne il prosieguo nella restante campagna d'Italia.

Alla metà di dicembre Hammond lascia la Sicilia per esser trasferito a Napoli e da lì proseguirà fino in Germania al seguito dell’avanzata alleata.

Un libro, ancora una volta ben scritto e articolato su base di fonti documentarie spesso inedite dal palermitano Attilio Albergoni, ne narra finalmente le coordinate più determinanti, concorrendo a colmare quei vuoti storiografici che oggi appaiono con minori zone d'ombra (Mason Hammond. La guerra in Sicilia di un professore di Harvard, Arti grafiche riunite, Palermo 2021, pp. 144, 10 euro).

L'invito è risvolto alla lettura di questo interessante testo per catapultarsi in quell’ancora, per molti versi, irrisolta parentesi storico-artistica, ma soprattutto è rivolto alla futura classe politica di questa martoriata città piena ancora di quelle macerie prodotte ottant'anni fa, affinché sappiano promuovere la costruzione di un monumento scultoreo a questo professore venuto in Sicilia “di” molto lontano e a cui dobbiamo molto, molto di più di quanto ancora non pensiamo di sapere.
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