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Riscaldava il corpo e i cuori: quando le famiglie siciliane si riunivano attorno alla "conca"

"Conca" o "cunculidda" (se di dimensioni più piccole) era un vero e proprio collante. Allora a far stare insieme le famiglie ci pensava questo un piccolo oggetto di rame

Balarm
La redazione
  • 7 febbraio 2022

Anziane donne attorno alla "conca"

C'era e c'era una volta... un'epoca in cui la famiglia si riuniva insieme per parlare. Si trascorrevano ore e ore a raccontare ciò che era accaduto durante la giornata, le difficoltà, le gioie. La tv non aveva ancora fatto il suo ingresso nelle case. Allora a fare stare insieme le famiglie ci pensava un piccolo oggetto di rame, che serviva a scaldare l'ambiente... e il cuore. In Sicilia si chiamava "a conca" (alias braciere) o "cunculina" (di dimensioni più piccole).

Oggi non è più utilizzata, ma non è poi così raro trovarla. Negli anni ha cambiato la sua funzione: da fioriera a cesto per la frutta o semplice pezzo d'arredamento vintage. Chi non ne ha visto almeno una nella casa di campagna dei nonni?

Prima che arrivassero i termosifoni, quando non tutte le famiglie potevano permettersi il camino, a portare il calore (non solo in termini di temperatura) nelle case siciliane ci pensavano le "conche".
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La conca veniva posta al centro di un altro contenitore più grande, di solito in legno, chiamato “cuncheri”. Riempita di carbonella, riusciva a scaldare l'ambiente attorno. Oltre al carbone anticamente veniva utilizzato u "nuozzulu". A raccontarlo, in modo preciso (e un po' malinconico), è Nello Blancato, studioso di tradizioni popolari, che in un suo testo dedicato alla conca decrive scene di vita quotidiana legate a questo oggetto.

«Il nuozzulo è il prodotto ottenuto dalla sansa sottoposta a processo di carbonizzazione in apposite fornaci, carcari. L’alternativa del nuzzuliddu è ‘a scurcidda costituita dai gusci delle mandorle fatte carbonizzare in mucchi circolari disposti all’aria aperta. In mancanza dell’uno e dell’altro c’era ‘u crauni stutatu o carbonella che veniva ottenuto a livello familiare da frasche e ramisteddi fatti bruciare e poi spenti a mezza cottura».

Esistevano anche i venditori ambulanti di conche, che camminavano per le strade con i bracieri impilati poggiati sulla testa, e quelli di "nuzzuliddu".

Nelle fredde giornate invernali, la conca si accendeva al mattino e si spegneva la sera. Ma, sebbene bruciasse per ore e ore, non riusciva che a scaldare la sola stanza in cui era posta. Così, la sera tutta la famiglia si riuniva attorno a quel braciere. Ci si scaldava, ma non solo del calore in senso fisico, bensì di quel calore familiare sprigionato dallo stare insieme. Si parlava.

«Attorno ad esso si parlava, si intrecciavano discorsi, si recitava il Rosario, si abbassava "u mecciu" del lume a petrolio (o si spegneva la lampada) per risparmiare, si proponevano i nnivinagghi, le donne pizzicavano le fave per la minestra, i più anziani raccontavano i cunta. Orlando e i paladini, i monichi ro cummientu, Giufà, Triricinu, Bellalonga figghia, Le mille e una notte… Tutto diventava ridondante, epico; i più piccini, anche se insonnoliti, ascoltavano con la bocca aperta. Magari accorrevano di nuovo i vicini di casa, si caliàunu quattru favi e quattru ciciri e ascoltando e rucumiannu passava la serata», ricorsa Nello Blancato.

Insomma, la conca più che un semplice braciere era un vero e proprio "collante" familiare. Un oggetto così piccolo ma capace di attrarre a se tutti i componenti della famiglia, offrendo loro occasione per condividere storie, emozioni e tempo. Se c'erano domande e dubbi, i figli chiedevano ai genitori o ai nonni e questi rispondevano. Così si comunicava e si imparava la vita. Attorno a una piccola e semplice "conca".
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