STORIA E TRADIZIONI
Rinunciò ai figli e sposò il duca Branciforte, edificò anche Villa Tasca: chi fu Agata Lanza
Donna indipendente, moderna ed esperta negli affari nel '600 fece costruire una delle più importanti dimore storiche di Palermo, oltre al primo nucleo di Villa Tasca
Villa Tasca
Agata Lanza, donna di grande intelligenza e intraprendenza, nacque nel 1573, da Ottavio Lanza, primo principe del feudo e del castello di Trabia e da Giovanna Gioeni.
I Lanza appartenevano alla nobiltà recente: Blasco, il nonno di Ottavio, era un noto giurista catanese molto amico del discusso Vicerè Ugo Moncada; il padre Cesare (genitore e "assassino" di Laura, la famosa baronessa di Carini) era riuscito a diventare “magnifico e nobile barone di Mussomeli” acquistandone con un raggiro da Andreotta Campo il mero e misto imperio, con tutti i diritti e le pertinenze, con feudi e terre, tenimenti di case, fondaco, acque e mulini.
Dorotea fu data in moglie a Ponzio Valguarnera, Elisabetta venne impalmata da Antonino Morso, marchese di Gibellina, per Francesca furono stipulate nozze con il sardo don Francesco di Castelvì, marchese di Laconi. Aloisia si fece monaca domenicana nel monastero di Santa Caterina d’Alessandria di Palermo e alla morte di Antonino Morso anche Elisabetta prese i voti e fondò il monastero di tutte le Grazie detto di San Vito (oggi non più esistente).
Agata a vent’anni sposò in prime nozze nel 1593 il cugino Giuseppe Branciforte Lanza, figlio di Nicolò Branciforte e della zia Giovanna Lanza. Giuseppe era vedovo da tre anni della prima moglie Beatrice Barrese, che gli aveva dato una figlia, Melchiora.
La ricca dote di 12000 onze apportata da Agata al marito era significativa della disparità di lignaggio ancora esistente all’epoca tra i Lanza e i Branciforte: fin dal XIV secolo i Branciforte facevano parte dei ranghi della feudalità siciliana più importante.
Giuseppe morì nel 1596, dopo tre anni di matrimonio, nominando per volontà testamentaria Agata tutrice dei figli Nicolò Placido e Giovanna Flavia, insieme con la sorella Beatrice e il cognato Federico Spadafora, barone di Venetico.
Dispose inoltre che in caso di seconde nozze di Agata, sarebbero subentrati gli zii nell’educazione e nella tutela dei bambini. I tutori Spatafora avrebbero ricevuto 50 onze annue per le cure prestate ai nipoti e avrebbero potuto abitare con loro nella casa magnatizia nei pressi della Chiesa del Piliere (Oggi palazzo Branciforte).
Giuseppe sperava di dissuadere Agata dal contrarre nuove nozze e aveva disposto una clausola del testamento che prevedeva nel caso in cui la giovane donna si fosse risposata e i figli avessero continuato a vivere con lei, una riduzione dell’eredità che spettava ai bambini.
Agata non si lasciò influenzare dalle ultime volontà del marito e fece ben presto istanza per la restituzione della sua dote, scontrandosi con l’opposizione del cognato Spatafora; solo dopo una sentenza della Regia Gran Corte si giunse ad un accordo: Agata utilizzò la sua dote di quasi 18000 onze per risposarsi nel 1599 con Ercole Branciforte, duca di San Giovanni, perdendo di conseguenza la tutela dei figli.
Lei aveva 26 anni e lui 44. Ercole Branciforte Settimo e Abatellis conte di Cammarata era cavaliere di San Giacomo della Spada. Nel 1603 sarebbe diventato governatore della Compagnia dei Bianchi. Aveva sposato in prime nozze Isabella Aragona, figlia di Don Carlo Aragona Tagliavia, detto Magnus Siculus.
L’imperatore Filippo II lo aveva inviato come suo ambasciatore insieme al suocero presso l’imperatore Rodolfo. Da Isabella aveva avuto un figlio, Girolamo. Ercole era rimasto vedovo nel 1599 e proprio in quello stesso anno, non perse tempo e impalmò la bellissima Agata. Fra le motivazioni di questo nuovo matrimonio, stipulato solo pochi mesi dopo la morte della prima moglie di Ercole, probabilmente doveva anche esserci anche una forte attrazione tra gli sposi.
Non sappiamo però se fu anche il padre Ottavio a insistere perchè Agata si risposasse, per stringere nuove alleanze. La dote di Agata era rilevante, denaro contante, mobili, corredo e gioielli.
Ercole non aveva grande disponibilità economica, perché aveva lasciato nel 1593 al figlio Girolamo, nato dal primo matrimonio, la dote materna, il feudo di Cammarata e il titolo di conte, e possedeva solo la proprietà dei feudi legati al titolo di duca di San Giovanni (dove aveva vissuto fino a quel momento nella villa che si era costruito negli anni precedenti) tuttavia godeva di una posizione socialmente e politicamente importante per via della parentela con Carlo d’Aragona Tagliavia, padre della sua prima moglie.
La disponibilità di buona parte della sua cospicua dote consentiva ad Agata, diventata duchessa di San Giovanni, di rimanere indipendente. Agata gestiva liberamente il proprio patrimonio, incrementandolo ulteriormente con acquisti immobiliari e comprando e rivendendo gioielli, argenti e beni preziosi sia per le sue necessità personali, che per sostenere il marito e per garantire il futuro dei nove figli avuti da Ercole.
Un testimone affermava che “Donna Agatha negoziava e tenìa gran maniggio di denari proprij quali doppo l'impiegava in compre di rendite beni stabili et altri che era una signora molto fattiva et prudente”. Agata comprava delle case, le ristrutturava e le affittava mettendole a reddito.
Era una donna intraprendente, padrona di fare quello che voleva con i suoi denari. I duchi di San Giovanni erano proprietari della villa di San Michele, alle porte di Cammarata (Ag). La dimora venne trasformata da Agata con molto dispendio di denari in uno degli ambienti più eleganti e raffinati del tempo.
Di particolare interesse era il rigoglioso giardino, ricco di piante ornamentali e da frutto, arricchito con ninfei, grotte artificiali, statue di marmo acquistate a Roma e giochi d’acqua per intrattenere gli ospiti. Gli sposi vantavano anche diverse collezioni di dipinti, disegni, sculture, coralli, manufatti in oro e argento.
Della villa con il parco di San Michele si conoscono due minuziose descrizioni, di cui una é quella di Ottavio Branciforte, primogenito della coppia.
Agata ed Ercole avevano anche una domus magnatizia nella strada della Bandiera” (oggi Palazzo Mazzarino in via Maqueda): su questo immobile, confinante con la chiesa della Madonna della Mazza, Agata aveva investito tempo, risorse e fatica per garantire ai figli avuti con Ercole Branciforte non solo una residenza elegante a Palermo equivalente a quella che Nicolò Placido, suo figlio di primo letto, aveva ereditato dal padre, Giuseppe Branciforte conte di Raccuja, ma soprattutto un certo benessere economico.
I figli di Agata grazie alle doti imprenditoriali materne conducevano, da cadetti, una vita più agiata rispetto al nipote Francesco, erede del primo matrimonio, che era il principale beneficiario dei beni di Ercole. Agata acquistò anche una villa a Mezzomonreale dove fece realizzare un giardino come quello di San Michele.
L’ingegnosa duchessa, pur di riuscire ad acquistare il giardino, vincolato alla vendita (non poteva essere venduto a persone titolate), fece fare la compravendita a persona di sua fiducia con il patto di riceverlo poi con atto di donazione. La villa venne ereditata dai discendenti di Agata. Nel Settecento il Villabianca la chiamava Villa Scordia.
Prese a metà dell’Ottocento la denominazione di Villa Tasca d’Almerita, poiché venne ereditata da Beatrice Lanza (figlia di Stefania Branciforte e Giuseppe Lanza) che aveva sposato Lucio Tasca d’Almerita. Agata si spense nel 1616 a 43 anni, Ercole sarebbe morto solo qualche anno dopo, nel 1620. Nel suo testamento, aperto il 26 gennaio del 1616, alla presenza del marito, Agata stabiliva eredi universali tutti i figli avuti con Ercole e dal momento che erano ancora minori venivano posti sotto la tutela paterna e sotto la protezione del duca d’Ossuna.
Il figlio più piccolo, «Petruzzo», fu affidato alla marchesa di Giarratana Agata chiedeva infine nel testamento di esser sepolta nella cappella Lanza della sua famiglia, presso la chiesa di Santa Zita dei padri domenicani (oggi San Mamiliano) e qui si trova ancora ai nostri giorni il monumento funebre che unisce insieme, in morte come in vita la duchessa e il duca di San Giovanni.
Fonti: L. Chifari - C. D’Arpa, Vivere e abitare da nobili a Palermo tra Seicento e Ottocento. Gli inventari ereditari dei Branciforte principi di Scordia; S. La Monica, La Sicilia dei Lanza; G. Macrì, Logiche del lignaggio e pratiche familiari. Una famiglia feudale siciliana fra ‘500 e ‘600.
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