CURIOSITÀ
Quando in Sicilia sei (tutto) "tischitoschi": perché devi stare attento a come parli
Come si è arrivato a tischitoschi? Ad essere onesto si brancola nu scuru, e vi è solo una remotissima ipotesi sull'origine del modo di dire: vi raccontiamo qual è
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Alessandro Siani e Claudio Bisio in "Benvenuti al Sud"
La Sicilia, per noi, è un po’ come la mamma, ne possiamo parlar male o criticarla, ma se si azzarda a farlo un “estraneo” allora viene naturale sgagnargli le corna.
Probabilmente è proprio per questo motivo che, quando si ospita uno “straniero” (ovvero tutti coloro che vivono al di là dello stretto) si sente l’impellente necessità di giocare di anticipo e scaraventarlo a tipo timpulata dentro tutta la bellezza della Sicilia.
Accussì, si spera, si stonano e non fanno in tempo a notare le infinite cose torte…o almeno si riesce a minimizzarle.
È esattamente ciò che abbiamo fatto (io e la mia dolce metà) quando venne a trovarci una coppia di carissimi amici pisani che sottoponemmo ad una full immersion sicula a base di visite, chiacchiere, aneddoti, curiosità, leggende ed una sana dose di riscuorsi i cafè, per concludersi, non sia mai che u pitittu n’ avissi a fare acitu, a levarci il testale a tavola.
La figlia della proprietaria/cuoca/manager del locale non potè fare a meno di sentire: ci regalò un sorrisone per ringraziare e si infilò in cucina per riferire alla madre ai fornelli.
«Mà ai signori qui accanto sono piaciuti assai i ravioli con la ricotta», « Ncà meno male…ma su “stranieri”?, «Si, sicuro del nord, parlano tutti tischitoschi». Ecco, ora va spiegaccillo ai nostri amici toscani che schifiu vuole dire tischitoschi, mica è cosa da poco.
Ricordo che mio nonno, il quale aveva prestato a lungo servizio al nord, era ironicamente soprannominato dai colleghi “tosco”, proprio perché aveva un po’ imbastardito il suo accento siciliano e, per sua scelta e forse educazione, cercava sempre di parlare in perfetto italiano.
D’altronde era pur sempre un militare. Questo perché una persona che parla in modo forbito e affettato, per noi sta parlando “toscano”, regione che viene ritenuta, erroneamente, creatrice della lingua italiana.
Con il passare del tempo il tosco è diventato tischitoschi, cominciando ad identificare tutti quegli elementi da sbarco che si atteggiano, si sentono tutti tochi, snob, con la puzza sotto il naso, un po’ i classici pidocchi arrinisciuti che ostentano un lusso che, a volte, non possono permettersi e cercano di darsi un tono con una parlata pseudo altolocata ma così variegata di strafalcioni da fare arrizzare i carni.
Ma il punto è, come si è arrivato da tosco a tischitoschi? Ad essere onesto si brancola nu scuru, e vi è solo una remotissima ipotesi su quella che potrebbe essere l’origine del modo di dire.
Nel 1064 la Repubblica Pisana, che ai tempi era piuttosto estesa e potente, prendeva parecchie questioni con i Saraceni che facevano incursioni nella loro zona, facendo partire le navi da Palermo.
E tuppulia oggi e tuppulia domani, i pisani, che comunque hanno il loro caratterino, si cominciarono a rummuliare decidendo di inviare una flotta per assaltare Palermo, soggiogare l’Emirato Arabo e mettere un valatone sopra a tutta la faccenda.
Ma con tutte le buone intenzioni non riuscirono ad entrare in città, per cui si limitarono, si fa per dire, a razziare sei galee piene di ricchezze, marmi ed altri materiali preziosi ed alcune lussuose ville presso la foce del fiume Oreto, utilizzando poi il ricavato per erigere il duomo di Pisa a piazza dei Miracoli.
Gli arabi, che pure loro un po’ malaminnitta lo erano, a spergio intensificarono le incursioni nella zona marittima toscana, cominciando a chiamare gli abitanti della Repubblica come tiski.
Tiski, secondo alcune leggende arabe, era colei che aveva generato la stirpe degli Hawwara, un popolo berbero-tribale che viveva lungo i confini del deserto e che gli arabi civilizzati consideravano come rozzi e selvaggi, appellandoli, proprio con il nome della loro progenitrice in forma dispreggiativa.
Quindi tiski rimase nella memoria fonetica sicula, perdendosi poi nel tempo, come una sorta di appellativo per identificare qualcuno che si credeva migliore ma senza esserlo nei fatti, un po’ come consideravano i pisani che erano partiti per conquistare Palermo ma dovettero “limitarsi” a delle razzie sulle coste.
Andando al 1200, anno in cui a Scuola Poetica Siciliana era al massimo, alcuni esponenti decisero di spostarsi in Toscana, dando origine alla poetica (senza scuola) tosco-sicula, in cui argomenti e metrica era quelli siculi, ma il testo veniva trasposto in “lingua” toscana, con l’intento, a torto o ragione, di elevare la sciccheria della composizione.
Ogni tanto, forse in preda a nostalgia o perché chiamati per delle composizioni personalizzate o per partecipare a spettacoli, qualcuno di questi poeti tornava nella terra del ficodindia, e a mo’ di pigghiata pi fissa, dai suoi colleghi rimasti nella terra natia veniva appellato come tischitosco, ovvero colui che andando via aveva imbastardito il suo accento e dizione originaria atteggiandosi a toscano.
Un po’ come quelli che vanno na simana a Milano e poi li senti parlare con “tac…”, “figa” e “uhè..” dicendo di non poter fare a meno del grappino nel caffè la mattina!
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