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Quando in Sicilia non si buttava via niente: l'antico (e curioso) mestiere del "capiddaru"

Un tuffo nel passato: vi portiamo in una Sicilia d'altri tempi, quella più povera, dove anche i beni più semplici avevano grande valore e non esistevano sprechi

Viviana Ragusa
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  • 9 settembre 2024

(Foto di Federico Patellani)

I mestieri tradizionali del Sud Italia si manifestano come un mosaico affascinante, composto da tante specializzazioni, oggi scomparse o profondamente trasformate. Nei secoli passati era piuttosto comune acquistare nel proprio quartiere oggetti fatti a mano dai cestai, dai conciatori di pelle o dai tornitori di legno. Tuttavia, in seguito all’industrializzazione, molte di queste produzioni hanno subìto cambiamenti radicali e hanno interrotto il loro profondo legame con le sapienti mani degli artigiani per spostarsi nelle fabbriche.

Anche il capiddaru (detto pure capillaru, capillaro o compratore di capelli) occupa un posto di rilievo nel grande elenco dei mestieri tradizionali.

Questa antica professione, strettamente legata alla vita rurale e alla cultura popolare, affonda le sue radici in un'epoca in cui l'economia domestica e l'artigianato rappresentavano i pilastri della vita quotidiana.

Il termine “capillaro” si riferisce a un artigiano specializzato nella raccolta, lavorazione e commercio dei capelli umani. Sebbene oggi possa sembrare un'occupazione insolita o addirittura bizzarra, questo lavoro ha avuto per secoli un ruolo fondamentale nelle comunità meridionali, soprattutto in regioni come la Sicilia, la Calabria e la Campania.

L’antico mestiere nasce in un contesto di grande povertà, dove anche i beni più semplici, come i capelli, potevano avere un valore economico significativo. Le ciocche, infatti, venivano utilizzate per creare parrucche e altri accessori di moda, probabilmente destinati alla nobiltà e alla borghesia.

Inoltre, il materiale lavorato dall’artigiano serviva per la produzione di reti per pescatori e altri strumenti di uso quotidiano.

Il capillaro girava per la città con il suo carretto colmo di scatoline e si occupava di acquistare i capelli dalle donne del paese, spesso in cambio di denaro, piccoli oggetti o beni di prima necessità.

Le cittadine, spinte da esigenze di natura economica, accettavano di tagliare i loro lunghi capelli, che rappresentavano una delle poche risorse vendibili. Ma non tutte le ciocche avevano lo stesso valore.

Le chiome lunghe e setose delle ragazze erano maggiormente apprezzate, rispetto ai ciuffi bianchi delle signore più anziane. Spesso lo scambio avveniva dopo lunghe trattative; di conseguenza, più alto era il valore delle ciocche, più cresceva l’orgoglio delle proprietarie che riuscivano a concludere un buon affare.

Una volta raccolti, i capelli venivano accuratamente selezionati, lavati e trattati per essere venduti ai produttori di parrucche o ad altri acquirenti.

La lavorazione richiedeva grande abilità e attenzione, poiché i capelli dovevano essere districati, ordinati per lunghezza e colore, e intrecciati o tessuti meticolosamente. Questo processo poteva richiedere diverse settimane e spesso coinvolgeva più membri della famiglia del capillaro.

In alcuni casi, questa figura si sovrapponeva a quella del parrucchiere o della pilucchiera che, oltre a tagliare e acconciare i capelli, si occupavano della loro vendita e lavorazione.

Con il passare del tempo, però, il mestiere del compratore di capelli ha iniziato a scomparire, soprattutto a partire dalla seconda metà del XX secolo. L'industrializzazione, l'introduzione di materiali sintetici e la crescente disponibilità di prodotti commerciali hanno gradualmente ridotto la domanda di capelli naturali e, di conseguenza, l'importanza di questa antica occupazione.

In aggiunta, il cambiamento delle condizioni economiche ha portato a un aumento del benessere generale, riducendo la necessità di vendere i propri capelli per far fronte a difficoltà economiche. Nonostante questo, il mestiere del compratore di capelli rimane un simbolo di un'epoca passata, in cui ogni risorsa, per quanto semplice o apparentemente insignificante, aveva un valore concreto.

Oggi la memoria di questo antico lavoro sopravvive soprattutto nelle testimonianze orali, nei racconti popolari e in alcuni musei etnografici che ne conservano gli strumenti e le tecniche.

Il capiddaru è una finestra su un mondo lontano, fatto di sacrifici, ingegno e resilienza, una forma di partecipazione a un'economia circolare che non conosceva sprechi.
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