CULTURA
Privilegi, immunità, bugie e terrore: la Santa Inquisizione come non l'avete mai vista
I documenti dei processi erano così tanti che per bruciarli tutti ci vollero oltre due giorni: tutta la violenza perpetrata in nome di Dio si è abbattuta (anche) su Palermo
Il piano della Cattedrale di Palermo con il palco dell'Inquisizione
Il 6 Ottobre 1478, il re Ferdinando d’Aragona, detto il Cattolico, creò il Tribunale dell'Inquisizione e fu inviato in Sicilia il primo inquisitore delegato, Frate Agostino La Pena, la cui nomina fu approvata da Papa Innocenzo VIII.
In realtà in Sicilia operavano già gli Inquisitori Spostolici dell’Inquisizione della Santa Sede anche se con modalità meno rigorose rispetto a quelle dell'Inquisizione Spagnola.
I primi Inquisitori arrivarono dalla Spagna. Il loro potere era superiore a quello dei Viceré in materia di procedimenti legali e delle autorità dei preesistenti giudici e funzionari locali. L'Inquisizione fu subito invisa al popolo siciliano ancor prima che le attività persecutorie avessero materialmente luogo.
Nel Tribunale i primi a operare come giudici furono i Padri Domenicani. Nel 1513 il compito fu affidato ai religiosi Regolari. Il declino del potere dell’Inquisizione in Sicilia cominciò molto lentamente a partire dal 1592 quando il viceré Duca d’Alba su ordine del re Filippo II, comandò che tutti gli arruolati nella Congregazione de’ famigliari del Sant’Uffizio (nobili, cavalieri, generali e altri aristocratici siciliani) perdessero i privilegi economici e prerogative fino ad allora concessi, che gravavano pesantemente sull’Amministrazione dello Stato.
I Commissari del Sant’Uffizio e coloro che vi si affiliavano come famigliari erano inoltre dispensati dalle leggi restrittive sul porto d'armi e godevano di immunità dalla giustizia Regia.
I reati per i quali si veniva processati erano ovviamente l’eresia (eresie luterane, ebraismo) ma anche la bestemmia, la stregoneria, l’adulterio, l'usura.
Dopo questi interrogatori e torture, gli accusati dovevano prendere parte alla cerimonia che consentiva loro il reinserimento nella società cattolica: l’Aautodafè (Auto da fè), cioè l’atto di fede.
Era una cerimonia pubblica in cui veniva eseguita, coram populo (davanti al popolo), la penitenza o condanna decretata dall'Inquisizione; una processione che culminava in uno spettacolo devoto e spesso, in un rogo. All’Autodafè assistevano migliaia di palermitani e regnicoli (siciliani che non abitavano a Palermo) desiderose di assistere allo spettacolo.
Nell'androne dello Steri gli inquisiti si preparano alla morte: con il loro stesso denaro si acquistava il necessario per confezionare il "sambenito", uno scapolare giallo, colore dell'infamia, e una mitra.
Dal dipinto che si vedeva nel "sambenito" del condannato si poteva arguire la sorte dell'inquisito: chi portava la croce di Sant'Andrea era riconciliato, chi portava le fiamme rivolte verso il basso punito, chi portava le fiamme verso l'alto era rilasciato al braccio secolare (carcere).
Il corteo veniva aperto dalla croce verde velata dell'Inquisizione, seguivano i familiari e la Compagnia dell'Assunta, la Confraternita legata all'Inquisizione formata da molti aristocratici, poi gli inquisitori a cavallo insieme a tutti i dipendenti del Tribunale, infine alabardieri, tamburini e pifferai, Magistrature Municipali e Regie, titolati e funzionari, Congregazioni e Ordini religiosi.
Al centro erano poste le persone processate: con abito giallo e candela di cera gialla in mano, con vergognose mitre sul capo, nelle quali erano rozzamente dipinti i crimini commessi.
Nella piazza della Cattedrale, oppure nel Piano del palazzo reale, piazza Bologni, Quattro canti etc venivano lette le sentenze mentre si svolgeva la lettura, tutti i convenuti lasciavano i loro seggi e si rifugiano nella parte bassa delle tribune dove cominciavano a banchettare con lauti rinfreschi preparati per l'occasione.
Con l’atto di fede (Auto da Fé) in pubblico spettacolo, l’eretico dichiarava il proprio pentimento ma ciò non lo risparmiava dalla morte sul rogo. Nelle prigioni del Palazzo Chiaramonte-Steri a Palermo, dove per quasi tre secoli gli Inquisitori interrogarono, torturarono e uccisero uomini e donne, ebrei o semplici sospettati, frati, suore e innovatori, rimangono preziosi graffiti dei carcerati, testimonianza unica delle sofferenze patite.
Il 6 Marzo 1782, con Decreto Regio, firmato dal Re Ferdinando III di Sicilia, dietro suggerimento del vicerè Caracciolo si disponeva l’abolizione dell’Inquisizione in Sicilia a oltre 500 anni dall'introduzione.
Il 12 Marzo 1782, il consultore Simonetti si recò nelle carceri dello Steri, credette di essere il benvenuto visto che stava per annunciare ai prigionieri la sospirata libertà. Trovò soltanto soltanto tre persone "o per dir meglio tre sole femmine streghe" perché i maschi erano stati liberati. Il marchese di Villabianca annotò come una delle tre donne rifiutasse di lasciare il carcere, perché dopo tanti anni in quelle segrete il mondo le appariva ostile non avendo più una sua casa né il modo di sostenersi.
Il 27 Giugno 1783, fu bruciato l’archivio segreto del Sant’Uffizio, insieme alle mitre dei condannati e agli altri emblemi. Il fuoco durò due giorni. Dei 1858 volumi riferibili al periodo dal 1576 al 1782, rimasero solamente gli atti riguardanti le liti civili dei familiari del Sant’Uffizio e pochissime carte criminali, l’archivio con il numero dei processati e condannati fu distrutto.
Soltanto dai documenti custoditi in Spagna, si trovano 4.500 processi effettuati in Sicilia e da una stima approssimativa, dal 1487 al giorno della soppressione furono inviati al braccio secolare e bruciati o condannati ad altra pena di morte 201 persone, 279 furono rilasciati perché morti o giudicati in contumacia.
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