ITINERARI E LUOGHI
Palermo e quei "pochi reduci tornati dal fronte": il villino Bagnasco di via Notarbartolo
È un raro (purtroppo) esempio di quell’equilibrio magistralmente plasmato dalla diffusione primo novecentesca della tipologia del villino al centro o prossimo ad un vasto giardino rigoglioso
Villino Bagnasco a Palermo
È corretto registrare che la sostituzione “tipologico-volumetrica” avvenga pressoché ovunque in città, sotto l’attenta regia della triade di interessi “proprietà villino/lotto-costruttore-politica”. Tale trasformazione urbana ma soprattutto culturale, assume una portata così vasta da aver alterato non solo la percezione dei luoghi unitamente alla stessa salubrità in termini di assoluta mancanza di sostenibilità ambientale, ma persino la memoria di ciò che sarebbe potuto oggi ancora essere e trasformarsi in economia sostenibile di matrice turistica e culturale.
Resta davvero poco di quell’equilibrio magistralmente plasmato dalla diffusione primo novecentesca della tipologia del villino al centro o prossimo ad un vasto giardino rigoglioso.
Villa Pottino-Baucina progettata da Ernesto Armò rappresenta forse l'esempio più singolare e aulico nel pieno dell'isolamento del proprio lussureggiante giardino ma se vogliamo per un istante immaginare quella “unità di fronti” che caratterizzava l'intera strada ancora alla metà del secolo, dobbiamo spostarci tra i civici 12-14-16 dove quasi come “i pochi reduci tornati dal fronte”, possiamo ancora ammirare la continuità delle Palazzine Cantavespri e Liotta tra cui fa bella mostra di sé il più misurato Villino Bagnasco.
Progettato per Giovanni Bagnasco Maurigi dall’ingegnere Federico Butera nel 1933, conserva ancora oggi intatta la sua condizione originaria, caratterizzata da un monocromatismo di intonaco beige chiaro a connotare l’abaco di mature acquisizioni stilistiche di tardo Modernismo, in cui la cifra eminentemente floreale si palesa soltanto nella plastica sinuosa dei ferri battuti di portoni e ringhiera perimetrale, quest'ultima a spiccare dal solito basso muro rivestito da intonaco con copertina marmorea. Sobrietà ed eleganza animano la tripartizione dei due piani al centro dei quali, al piano di copertura, insiste il gonfalone con lo stemma araldico della prima famiglia proprietaria, soprastante il minimale cornicione lievemente aggettante perimetralmente.
Lesene, modanature, marker e piccole finte balaustre, fregi e volute arricciate, nel costruire la fisicità del piccolo villino prossimo al compimento “fortunoso” dei cento anni d'età, rappresentano ancora quella poesia manifesta e perduta della dimensione della intima scala urbana dell’arteria devastata dal “sacco”.
Il Villino insieme ai pochi edifici sopravvissuti e unitamente all’eleganza costruita attraverso elementi in gioco-forza ai progettisti dell'età dei Florio, è altresì capace di restituire la grande dimensione del disastro urbano messo qui in campo per la sola ingordigia “palazzinara” che, poco di qualità se non addirittura nulla, ha prodotto al posto di ciò che ha volutamente sacrificato sopra l'altare del solo profitto economico chiamandolo persino “progresso”.
Se ti è piaciuto questo articolo, continua a seguirci...
Iscriviti alla newsletter
|
GLI ARTICOLI PIÙ LETTI
-
STORIA E TRADIZIONI
Lo sfarzo a Palermo, poi il furto e la crisi: i gioielli perduti di Donna Franca Florio