ARTE E ARCHITETTURA
Ospitò l’imperatore, ora torna a splendere: rinasce il palazzo (tra i più belli) di Palermo
Il sogno di edificare questa magnifica e imponente dimora nacque dall’ambizione di un mercante e banchiere pisano. Vi raccontiamo la sua antica storia
Palazzo Aiutamicristo (foto di Maria Oliveri)
Appare finalmente ripulita, su via Garibaldi, la facciata principale di Palazzo Aiutamicristo che conserva il suo aspetto medievale nell’uso dei conci nudi in pietra arenaria e dei merli a coda di rondine, nonostante le manomissioni settecentesche.
Rimane ancora montato solo un piccolo ponteggio, che copre lo spazio tra il pianterreno e l’ammezzato e permette alle maestranze di ultimare gli ultimi ritocchi. Palazzo Aiutamicristo è una imponente domus magnatizia, sorta alla fine del Quattrocento, a ridosso di un’area che all’epoca era ancora ricca di orti, appezzamenti e vigneti.
Nel corso dei secoli ha ospitato personaggi illustri: qui come ricorda la targa marmorea murata sulla facciata, soggiornò nel 1535 Carlo V, sovrano di un impero che comprendeva possedimenti in Europa e colonie nel nuovo mondo e sul quale pertanto non tramontava mai il sole.
Dopo aver acquisito la baronia di Calatafimi e quella di Misilmeri, Aiutamicristo incaricò nel 1490 l’architetto Matteo Carnilivari di progettare un palazzo all’altezza del nuovo ruolo sociale della sua famiglia.
Sul portale di ingresso al civico 41 spicca il blasone in pietra degli Aiutamicristo – un cartiglio con cinque fuselli (rombi) azzurri, in ordine decrescente a partire da quello centrale, posti uno di seguito all’altro, sorretto da due leoni rampanti oggi purtroppo acefali e sovrastato da un’ aquila - che il committente aveva fatto orgogliosamente apporre all’ingresso della sua solenne dimora.
Il momento storico era particolarmente propizio per l’edificazione di una Domus Magnatizia: a Palermo la Prammatica di re Martino (1406), recepita già nel 1421 e ampliata nel 1482, incentivava la costruzione di case e palazzi di pregio per accrescere il decoro della città.
Dal momento che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, il sogno ambizioso di Guglielmo Aiutamicristo si era però presto scontrato con i fatti imprevedibili della vita: la moglie era morta, l’architetto Carnilivari aveva lasciato all’improvviso Palermo dopo 3 anni dall’inizio dei lavori e nonostante l’impegno profuso dal capomastro Nicolò Grisafi nel terminare la costruzione, l’edificio non venne mai ultimato, per le difficoltà economiche ( probabilmente sorte a seguito delle ingenti somme spese da Guglielmo nell'acquisto di castelli e baronie feudali) e per la morte stessa del committente.
Nel 1501 infatti il mercante pisano seguiva la moglie nella tomba e meno di un secolo dopo, nel 1588, gli eredi di Guglielmo vendevano la Domus di famiglia ai Moncada.
Nei secoli successivi Palazzo di Guglielmo Aiutamicristo ha vissuto periodi di grande fortuna, di magnificenza e di splendore, come quando il principe Giovanni Luigi Moncada (1745-1827) nel XVIII secolo si è fatto promotore di opere di rinnovamento che hanno stravolto l’aspetto medievale dell’edificio per adeguarle alle esigenze di vita e alla cultura del tempo e al nuovo gusto barocco, realizzando anche un grande salone da ballo, il "camerone", decorato nel 1780 dai pittori Benedetto Cotardi e da Giuseppe Crestadoro, allievo di Vito D’Anna, con l’affresco "la gloria del principe virtuoso".
Il palazzo ha anche conosciuto purtroppo, in tempi più recenti, decenni in cui il pessimo stato di conservazione ne ha deturpato la severa bellezza.
Il declino del complesso è cominciato probabilmente nel 1827, quando con la morte del principe Giovanni Luigi Moncada il vasto e meraviglioso giardino che l’aristocratico aveva ampliato mediante l’acquisto dei confinanti orti della chiesa della Magione, e che aveva aperto alle visite del popolo, è stato lottizzato: si sono salvati solo la fontana del cavallo marino opera di Ignazio Marabitti che oggi si trova in piazza S. Spirito e i piloni del viale d’accesso, inglobati nel teatro Garibaldi.
I Moncada sono rimasti proprietari fino al 1877, nel 1881 una parte dell’edificio è stato ceduto ai Tasca Lanza d’Almerita e la rimanente parte ai baroni Calefati di Canalotti. Questa porzione del palazzo, abitata dai Calefati, è quella che si è preservata meglio ed è stata sottoposta a diversi restauri; la famiglia ha cercato di mantenere con grande cura le preziose decorazioni, gli splendidi affreschi, gli arredamenti d’epoca e i pregiati pavimenti di maiolica.
Il Palazzo oggi è monumento Nazionale e fa parte dell’Associazione Dimore storiche. La parte dei Tasca ha ospitato uffici, attività commerciali (come la fabbrica dell’anice Tutone), è stata sede della scuola media Benedetto D’Acquisto e del liceo artistico.
È stata acquistata nel 1993 dalla Regione Siciliana e l’Assessorato ai Beni Culturali ha finanziato diverse opere di recupero: in particolare alla fine del 2013, dopo circa tre anni di lavori, si è concluso un intervento di restauro molto importante, del costo di 3 milioni di euro, commissionato dalla sovrintendenza.
L’obiettivo è stato quello, oltre ad effettuare alcune opere di consolidamento e di adeguamento degli impianti, di mantenere dove è stato possibile lo stato originario della struttura quattrocentesca più volte manomessa nei secoli e di preservare e valorizzare le maioliche, gli affreschi, i solai lignei con travi dipinte o a cassettoni.
Il pianterreno di questa parte dell’edificio è stata destinata a sede museale ed espositiva di materiali lapidei e di sculture come il busto del vicerè Pietro Speciale di Domenico Gagini (1469); le due stele di Giambattista ed Elisabetta Mellerio, capolavori di scultura funeraria di Antonio Canova (1811-14); il busto marmoreo dell'Imperatore Carlo V (metà del XVI secolo), attribuito a Giovanni Angelo Montorsoli, posto sulla facciata di Palazzo Lo Mazarino-Merlo nella Piazza del Garraffello, trafugato e recuperato nel 2014; la vittoria alata di Antonio Ugo, collocata nel 1922 al secondo piano del Palazzo delle Finanze, rubata nel 2013 e poi fortunatamente ritrovata e restaurata nel 2018.
Nella sede museale del palazzo tornerà presto anche la pupa del capo (in prestito a palazzo S. Elia per una recente mostra ormai terminata), splendido mosaico liberty del panificio Morello al mercato del Capo, raffigurante la dea Demetra, tra spighe e papaveri: rimosso insieme ad altri due pannelli da Palazzo Serenario dopo un crollo, è stato restaurato nel 2016 e si trova a Palazzo Aiutamicristo in attesa di ricollocazione.
Dal 2019 in questa parte del Palazzo si trova anche la sede della Soprintendenza per i beni Culturali e Ambientali di Palermo.
Il Palazzo è comunque oggi al suo interno un cantiere ancora aperto: il restauro che si sta concludendo ha interessato solo la parte privata dei Calefati, con ingresso al civico 23; chi si trova a passare su via Garibaldi nota una leggera difformità nel colore della facciata delle due diverse proprietà, più scura e tendente al giallo -dorato la parte della sovrintendenza, più chiara con rimandi alla pietra bianca la parte dei Calefati.
Si lavora inoltre ancora ai restauri della corte principale con duplice loggiato, che richiama il portico del coevo palazzo Abatellis, e che, diversamente dalla facciata manomessa in epoca barocca con la creazione di balconi e botteghe, mantiene maggiormente l’aspetto gotico. Altri restauri sono previsti prossimamente: sono stati infatti stanziati di recente fondi del FSC (Fondo di sviluppo e coesione), per un totale di 1.100.000,00 euro per il restauro del terzo piano.
Riqualificare gli edifici storici è sicuramente una sfida difficile e onerosa, ma al contempo assolutamente indispensabile per la valorizzazione del vasto patrimonio artistico, storico e culturale cittadino, un enorme mosaico composto da centinaia di tessere, tutte meravigliose e indispensabili.
Sarebbe auspicabile poter anche offrire maggiori occasioni di fruizione ai visitatori e ai cittadini, per riuscire ad ammirare questo prezioso scrigno di bellezza in massima parte ormai recuperato e valorizzato, tornato all’antico splendore.
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