ARTE E ARCHITETTURA
Oltre ottanta opere in mostra: la Palermo di Bazan, De Grandi, Di Marco e Di Piazza
"La Scuola di Palermo" è la prima collettiva che dopo quasi 20 anni riunisce le poetiche dei quattro iconici artisti palermitani: al Museo Riso dal 22 marzo al 25 aprile
"Masso" di Andrea Di Marco
La mostra - inclusa nel calendario di Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018, curata da Sergio Troisi, in collaborazione con Alessandro Pinto, si intitola “La Scuola di Palermo” - riprendendo l'appellativo che riunisce la produzione dei quattro artisti palermitani che si sono affermati nel panorama artistico nazionale a partire dagli anni Novanta.
In quegli anni si andavano definendo delle “scuole regionali” che intendevano rivendicare un’affinità intellettuale e riabilitare quel genius loci che aveva fatto grande il Paese, e Palermo - se da una parte era penalizzata dal decentramente insulare, dall’altra fu attenzionata proprio per la sua lateralità rispetto ai consueti circuiti dell’arte, e l’”indisciplina” pittorica dei quattro arrivò a suscitare un particolare interesse.
Pur con percorsi e direzioni indipendenti, i quattro dimostravano una stessa attitudine a praticare delle ibridazioni pittoriche - con la cultura popolare, i fumetti, le illustrazioni, i b-movie.
Un modo di sondare la pittura nella sua inesausta vitalità, nel suo inesauribile serbatoio di immagini e di narrazioni, ed è così che le loro opere si sono generate, rientrando di diritto in quella più ampia tendenza denominata “Nuova Figurazione Italiana”.
Tutto ha avuto inizio nello studio di via Gemmellaro 55, alla Zisa, tra via Dante e via Goethe, che dal 1997 al 2012 è stato il luogo dove hanno condiviso - tra partenze e ritorni - spazi, lavoro, pensieri, successi, delusioni, incazzature e tantissime risate.
Inizialmente c’erano Bazan e Di Marco. Di Piazza poco dopo prende studio da solo, mentre De Grandi già da qualche anno vive a Milano. Nei primi anni del 2000 Bazan si trasferisce a Palazzo Ramacca, nel cuore della Vucciria, e in via Gemmellaro resterà dunque solo Di Marco, almeno fino al 2008, quando De Grandi - tornato a Palermo - andrà a condividere lo studio con lui. Fino al 2012, l’anno funesto in cui Andrea Di Marco si spegne improvvisamente e prematuramente.
La prima - e fino a questo momento - unica mostra che li ha visti esporre insieme nella loro città risale all’estate del 2001, ai Cantieri Culturali alla Zisa: la mostra si chiamava Palermo Blues, e si presentava come un’antologica di giovani pittori cresciuti artisticamente a Palermo, che hanno avuto riscontri e consensi in tutta Italia, pur senza aver dovuto abbandonare la loro città natale, e fu proprio quella l’occasione in cui vennero definiti “ufficialmente” come la “Scuola di Palermo”.
Fu un traguardo importante, ma che portò anche cambiamenti, nel lavoro individuale e negli equilibri del gruppo, e negli anni si è arrivato anche a respingere la definizione, percependola come una ‘etichetta’ di facile generalizzazione. Forse quello che era un modo di essere era stato interpretato come una scuola, l’amicizia che da sempre li legava come un manifesto programmatico, l’essere uniti e proteggersi, non sentirsi in competizione e anzi supportarsi, come una strategia.
Ma se questa definizione resiste fino a oggi - nonostante tutto - a generalizzazioni e semplificazioni critiche, giornalistiche o altro, qualche ragione deve esserci. Per essere compresa la storia della Scuola di Palermo va letta nella sua interezza, e la mostra al Museo Riso è ciò che si propone di fare.
Oltre 80 opere, tele e dipinti che vanno dagli anni Novanta fino ai lavori più recenti. Una ricognizione dei vari momenti che mette in luce i cambiamenti che le singole ricerche hanno visto negli anni.
C’è l’autoritratto di Fulvio Di Piazza del 1998, il primo di una lunga serie, che segna l’inizio del suo modo di affrontare questo tema, in un universo surreale e metamorfico. La Cala di Francesco De Grandi del 1999, che testimonia il suo legame con una certa cultura di quegli anni e Ninetta del 2009, ritratto aulico della clochard che ha incontrato nel suo quartiere una volta tornato a Palermo.
E ancora le narrazioni sospese di Bazan, la messa in scena di situazioni inverosimili, dove tra musicisti jazz e atmosfere da night club tutto potrebbe succedere, fino ai voli pindarici sulle città, nelle vedute in prospettiva aerea degli ultimi anni.
E infine le opere di Di Marco, leggere e scanzonate quelle giovanili, profonde e poetiche quelle più recenti, fino alla commovente presenza dell’ultima opera che ha realizzato, una bancarella che ha del sacro, in cui sono esposti oggetti dorati che spiccano sul morbido tessuto blu.
Muovendosi liberi e disperati negli sconfinati territtori dell’arte e dell’immaginazione, Bazan, De Grandi, Di Marco e Di Piazza hanno vissuto Palermo come uno stato d’animo, esistenziale e antiretorico, questa città come un altrove, un’anomalia, una diversità dentro le infinite diversità.
In senso stretto - nel loro lavoro - di palermitano c’è questo: non l’analisi o la descrizione della realtà, ma la visione del paradossale, raccontata attraverso una mitologia popolare, in cui convergono il contradditorio, l’inquietante, l’illogico e l’apocalittico.
Dal 22 marzo al 25 aprile, la mostra è visitabile al Museo Riso di corso Vittorio Emanuele da martedì a domenica dalle 10 alle 19.30, da giovedì a sabato dalle 10 alle 23.30, il biglietto ha un costo di 6 euro.
Per maggiori informazioni sui costi di ingresso agevolati o gratuiiti per studenti, professionisti, diversamente abili e o visitatori stranieri e gruppi visitare la pagina web dedicata.
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