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Non tutti i restauri finiscono bene: un teatro antico di 2500 anni distrutto per sempre

Coperto da un materiale plastico che avrebbe dovuto conservarlo, il teatro risalente al IV secolo avanti Cristo è stato distrutto: il danno (permanente) è avvenuto in Sicilia

Balarm
La redazione
  • 1 agosto 2019

Il Teatro Greco di Eraclea Minoa

Il rischio è che cada tutto nell'oblio, «Quando si parla di distruzione di un bene comune - dice Aurelio Gatti, organizzatore della rassegna "Teatri di Pietra" - si parla di danneggiamento alla memoria di tutti».

In molti credevano che il Teatro Greco di Eraclea Minoa, in provincia di Agrigento, devastato a causa di un intervento di restauro mal riuscito, non fosse più motivo di attrazione e invece Aurelio Gatti ha ritenuto necessario continuare con la rassegna "Teatri di Pietra" proprio lì, accanto al devasto per ricordare a tutti che un teatro di 2500 anni arrivato fino a noi in buono stato è stato distrutto da un intervento architettonico che avrebbe dovuto preservarlo meglio.

Il teatro è ricoperto da un obbrobrioso materiale plastico che ricopre la struttura risalente al IV secolo avanti Cristo, una cappa di pessimo gusto che, di fatto, lo rende pressoché invisibile. Ma del resto è questo, da decenni, il destino di questo teatro costruito quando Eraclea era una colonia di Akragas e quando era spesso al centro delle contese tra gli stessi akragantini e i selinuntini.
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Il teatro fu riportato alla luce nel 1953, in questo luogo mozzafiato perché sorge sul promontorio di Capo Bianco, sotto il quale c’è un lungo tratto di spiaggia protetto da una splendida pineta. La cavea, che ha un diametro di 33 metri, ha anche delle caratteristiche che la rendono.

Il teatro, però, è fragilissimo almeno quanto è bello. Il materiale con cui è costruito è la marna, un materiale argilloso è stata proprio questa la sua condanna in epoca moderna. Perché se quasi 2500 anni fa le fonti – che comunque non sono tante – non fanno cenno di usura dovuta alle intemperie, negli anni Sessanta, e dunque subito dopo essere stato riportato alla luce, gli archeologi il problema se lo posero.

Dicevano che il vento lo avrebbe eroso in poco tempo e che la pioggia lo avrebbe ridotto ad una poltiglia. Ed escogitarono una soluzione che forse all’epoca era filosoficamente accettabile ma che oggi grida vendetta, soprattutto perché non solo ha provocato più danni che benefici ma anche perché non è stata ancora trovata una soluzione alternativa, e perché pure il nuovo progetto di restauro non prevede la rimozione della copertura ma addirittura prevede l’ipotesi di riproporla, siapure, dicono i progettisti, con materiali meno invasivi e più idonei (struttura in acciaio inox e copertura in makrolon alveolare).

Sta di fatto che negli anni Sessanta l’architetto Franco Minissi, all’epoca una star dell’archeologia conservativa, progettò e fece realizzare una copertura in plexiglass che, alla lunga, anziché proteggere il teatro ne stava provocando la distruzione.

E così una quindicina di anni fa quella copertura fu rimossa e sostituita, in via "provvisoria", con un’altra che è però ancora regolarmente là. Eppure in Soprintendenza ad Agrigento il dibattito c’è stato. Lo stesso Gaetano Tripodi, l’architetto che ha firmato il progetto di restauro prevedendo un’altra copertura, è tra i fautori dell’ipotesi "teatro libero".

Ma alla fine ha rivinto il partito dell’obbrobrio, quello cioè che sostiene che il teatro vada difeso sottraendolo di fatto alla fruizione. Tanto valeva, probabilmente, lasciarlo ricoperto dalla terra come lo era prima del 1953.

L’area archeologica di Eraclea soffre ovviamente di questo clima di incertezza ultradecennale perché pure la copertura provvisoria mostra i segni del tempo. E non solo per qualche lastra di plexiglass ammonticchiata qua e là ai lati della struttura ma anche per le soluzioni che all’epoca, primi anni Duemila, furono adottate.
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