FOOD & WINE
Nomi bizzarri e dove trovarli: le stranezze culinarie (e quasi dimenticate) di Sicilia
Hanno nomi insoliti e stravaganti, ma sono un tripudio di sapori e profumi: ecco alcuni gustosi piatti della tradizione siciliana che non tutti conoscono
U farsumagru (falsomagro) siciliano
Parliamo di ricette dal sapore d'altri tempi che spesso sono legate a un particolare periodo dell'anno, sia per via degli ingredienti utilizzati - spesso primizie tipiche soltanto di alcuni mesi - sia perché tradizionalmente cucinate a ridosso di determinate feste religiose.
Così nelle papille gustative riecheggiano storie e usanze di piccoli borghi e paesini, spesso poco conosciuti, che in realtà in piccolo raccontano la storia dell'Isola in modo unico e originale.
Viene da Palermo ma è diffuso ormai in tutta la Sicilia u farsumagru (o bruciuluni), per dirla in italiano "il falsomagro", che fra quelli qui elencati probabilmente è il piatto più conosciuto e che abbiamo sentito nominare o avuto la fortuna di mangiare almeno una volta.
A fronte di questa simpatica teoria sull'origine e il significato di questo nome, tuttavia, ne esiste un'altra più accreditata che farebbe derivare il termine falsomagro dal francese farce, che letteralmente significa "farcia" e si riferisce, appunto, alla carne farcita. Ipotesi non tanto azzardata se si considera che l'arte di farcire le carni è proprio di origine francese.
Se c'è un primo della tradizione siciliana davvero unico nel suo genere è un piatto che omaggia, sia nel nome che nelle fattezze, il gigante di fuoco dell'Isola: arriva da Catania u ripiddu nivicatu, fiore all'occhiello della cucina etnea.
U ripiddu nivicatu non è originale soltanto nel nome e nell'aspetto, ma anche nell'utilizzo degli ingredienti che non ha nulla da invidiare alla cucina più contemporanea, anzi per certi versi ne precorre i tempi. Questo piccolo Etna che riempie il piatto unisce infatti pesce e formaggio, con una nota piccante che non guasta mai: un risotto a base di seppie (con il loro nero), ricotta, finocchietto selvatico e peperoncino.
Avete presente quando siamo costretti a soffiare sul piatto perché troppo caldo? Questo semplice gesto ha dato il nome a un altro piatto della tradizione siciliana, questa volta proveniente da Messina: è u sciuscieddu (o ciusceddu), che letteralmente si traduce con "piccolo soffio" e che fu chiamato in origine così proprio perché veniva servito molto caldo ed era impossibile da mangiare nell'immediato.
Un elaborato piatto da forno che veniva preparato per il pranzo di Pasqua, e tutta la famiglia si riuniva attorno a questo tripudio di polpettine di carne cotte e insaporite nel brodo, ricoperte da una soffice colata di ricotta, formaggio e uova. Praticamente un soufflé alla siciliana che secondo la ricetta originale veniva preparato con il maiorchino, il "formaggio salterino" da secoli protagonista a Novara di Sicilia di un torneo unico nel suo genere, e oggi presidio Slow Food.
Ai dolcieri di Modica (in provincia di Ragusa) si deve la creazione di un insolito "dolce salato", ancora oggi molto apprezzato da chi ha la fortuna di passare da questo piccolo gioiello inserito dall'UNESCO tra i Patrimoni dell'Umanità: parliamo degli 'mpanatigghi, ovvero piccoli panzerotti di pasta frolla ripieni di carne e cioccolato.
Secondo le testimonianze più attendibili, gli 'mpanatigghi furono creati durante la dominazione spagnola nel Regno di Sicilia nel 16esimo secolo, perciò non è casuale l'assonanza con le empanadas, delle quali mantengono una forma molto simile (a mezzaluna) e l'accostamento tra dolce e salato, tipico di molte ricette dell'America ispanica.
Un tempo questi tipici panzerotti modicani venivano preparati nei periodi di caccia utilizzando l'abbondante carne di selvaggina stipata nelle riserve domestiche, oggi invece viene utilizzata la carne di manzo.
Non sappiamo nulla, infine, delle origini della cosiddetta bianculidda n'ta fogghia, un piatto molto semplice e quasi totalmente dimenticato a base di neonata, il novellame di pesce azzurro (i bianchetti) che in Sicilia viene utilizzato solitamente per preaparare deliziose polpette o per condire la pasta.
Per preparare la bianculidda n'ta fogghia basta procurarsi della neonata fresca (ricordando che oggi la regolamentazione europea ne consente la pesca soltanto in alcuni periodi dell'anno) e delle foglie di limone, alternate a strati e poi leggermente scottate su una griglia.
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