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"No, le corna no": quando il delitto d'onore macchiava la Sicilia di incredibili assurdità

Delitto d'onore e matrimonio riparatore sono stati un paradosso del diritto in chiave siciliana e anche un famoso film affrontò il serio problema con ironia

  • 16 giugno 2020

Marcello Mastroianni e Daniela Rocca in una scena del film "Divorzio all'italiana"

Gli anni Sessanta rappresentano un'epoca di profonde trasformazioni sociali che investono tutta l'Italia ma che trovano al meridione una maggiore resistenza dovuta a un sistema di valori più tradizionalista.

Il divorzio nel 1961 non è ancora previsto dal codice. Quell'anno, in Sicilia, si contano oltre mille delitti d'onore. La convinzione di dover ricorrere all'omicidio per "lavare l'offesa" subita, fanno comprendere come una mentalità arretrata e maschilista fosse diffusa nei siciliani dell'epoca.

La condizione della donna è di una completa mancanza di libertà rispetto all'uomo. Tanto che la pena per chi uccide la moglie (assai più raramente si uccide il marito) va dai tre ai sette anni di carcere; per chi accoppa invece un cristiano qualunque la condanna va dai venti al fine pena mai.

Una storia come tante per quel periodo, che spesso riempivano le pagine dei quotidiani. Alla base di tutto c'era il concetto di "onore", che nel caso delle donne coincideva con l'integrità fisica prima del matrimonio, ovvero con l'assoluto valore della verginità. Qualsiasi donna o ragazza trascurasse questi valori, finiva per essere definita una "svergognata".
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Così l'accusato di delitto carnale (che fosse avvenuto a danno di una minorenne non faceva alcuna differenza) poteva estinguere il proprio reato semplicemente convolando a nozze con la vittima attraverso il cosiddetto "matrimonio riparatore". Stuprare e poi sposare, tutto secondo la legge, le usanze e i costumi locali del tempo. Bellu priu!

Un affresco di una Sicilia paradossale ma realmente esistita in cui i vincoli imposti dalla tradizione erano rigidissimi. Le donne che venivano meno a questi vincoli, mostrando una, seppur minima, voglia di emanciparsi e di essere indipendenti, erano soggette alla critica feroce e all'esclusione dal contesto sociale.

Ma un fatto di cronaca eclatante, che vede protagonista Franca Viola - una giovane siciliana rapita e violentata dal suo ex fidanzato, Filippo Melodia - costituisce la prima rottura nei confronti di alcune consolidate tradizioni siciliane che imponevano alle donne la subordinazione al sesso maschile.

La ragazza, liberata dopo otto giorni, torna a casa dai suoi genitori e rifiuta di sposare il suo rapitore. È la prima ribellione al "matrimonio riparatore", che secondo il costume siciliano sarebbe stato l'unico modo per lavare il "disonore" della perduta illibatezza.

In questa scelta ci sono quindi tanti elementi innovatori del costume siciliano, come l'indifferenza alla perdità d'onore e la ribellione alla violenza e alla intimidazione. Qualcosa dunque stava cambiando.

Un esilarante ritratto comico-grottesco di quell'epoca - arretrata, maschilista, ancora preindustriale nel contesto e nei costumi - che descrive bene il delitto d'onore nell'isola, è nella celeberrima commedia di Pietro Germi, "Divorzio all'italiana".

Tra umorismo e pamphlet sociale, il film condanna la concezione maschilista del rapporto di coppia di allora e l'assurdità della legge italiana e pure il ritardo cognitivo del Mezzogiorno sulle idee progressiste.

Il barone Ferdinando Cefalù di Agramonte (detto Fefè), forte di questa legge, non si fa problemi ad architettare un falso adulterio della moglie Rosalia - racchia e con un sopracciglio convergente alla Frida Kahlo, al suo fianco da oltre un decennio – per liberarsi di lei e sposare la bella e giovane cugina Angela di cui si è follemente innamorato.

Fefè rappresenta il passato in un presente immobile: aristocratico decaduto si aggira nella sua grande casa, residuo di una aristocrazia ormai in declino, agghindato di pigiamini e retine per capelli a tenere fermo il capello impomatato, immerso in ridicoli sogni (uccidere la moglie e scioglierla in un pentolone del sapone, o che decolli come astronauta per un viaggio sulla Luna), senza uno scopo se non il romantico amore per la cugina.

Per il barone si tratta quindi di escogitare un piano per diventare vedovo: premedita, architetta, manipola ma non riesce ad attuare il suo piano secondo copione perché non coglie sul fatto la moglie – ormai fuggita con l'amante – e non può dunque avvalersi delle attenuanti previste dal codice penale. Si rintana in casa, si finge malato, decide dunque di attirarsi il disprezzo della gente.

Cornuto sulla bocca di tutti, alla luce accecante del paese, adesso le condizioni di disonore sono sufficienti a giustificare comunque il suo gesto. Uccide Rosalia, e l'amante di Rosalia è, a sua volta, ucciso dalla moglie legittima. Qualche anno di carcere e Fefè può allora sposare la cugina Angela, angelica di nome e d'aspetto ma non nei fatti. In viaggio di nozze è subito "piedino" con il marinaio.

Il delitto d'onore sarà abolito solo nel 1981. Nel frattempo ci siamo potuti consolare con il «non sono di proprietà di nessuno» della giovane Franca Viola e la condanna al cubo del barone Cefalù: carcerato (anche se solo per poco) e doppiamente cornuto.
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