ARTE E ARCHITETTURA
Nel Pantheon dei caduti c'è un'unica donna: chi fu Costanza, "Crocerossina" siciliana
Vi portiamo dentro la monumentale opera, memoria di uno dei periodi più tragici della storia mondiale. Tra i personaggi sepolti, Costanza Bruno: la sua storia
Chiesa di San Tommaso al Pantheon a Siracusa (foto di Francesca Garofalo)
La struttura possente situata tra il corso Gelone, il Foro siracusano, la piazza Euripide e via Armando Diaz è di forma cilindrica, risultato dello studio di proporzioni dell’architetto siracusano Gaetano Rapisardi.
Originariamente pensata per essere in pietra lavica dell’Etna la struttura, edificata nel 1919, è in pietra arenaria e osservandola dall’esterno ciò che la contraddistingue sono lo stile moderno, i volumi semplificati e geometrici.
Grandi pilastri inglobano imponenti vetrate e fanno da sostegno a un terrazzino; qui, si susseguono piccole finestre sormontate da croci in pietra. Infine, l’architetto Rapisardi corona la struttura con una piccola torretta campanaria in cemento armato.
L’interno, a una navata circolare, custodisce le lapidi e le spoglie dei siracusani periti al fronte, poste in un ossario. Fra quelle dei valorosi aretusei ci sono anche le spoglie di una donna: Costanza Bruno (1915). Medaglia di bronzo al valore militare, medaglia d'oro della Croce Rossa Italiana e medaglia d’oro "Florence Nightingale" della Croce Rossa Internazionale.
Figlia di una baronessa e di un generale di brigata, a 20 anni entra come infermiera volontaria alla Croce Rossa Italiana e opera negli ospedali di Palermo, Catania e Siracusa. Donna forte, amante delle lingue e della scrittura poetica, la sua generosità andava ben oltre il supporto ai feriti di guerra: pare aiutasse chi non poteva permettersi le medicine con il patrimonio personale. Ma l’atrocità della guerra esplode e come una ferita infetta, prolifica e interrompe tutto.
Un’incursione aerea a Nicosia, vicino all’ospedale in cui prestava servizio Costanza durante la seconda guerra mondiale, le costa la vita. Le ferite riportate alla mano, al fianco e alla tempia non ledono però la sua forza e professionalità; fino all’ultimo afflato di vita si batterà prima per le cure verso chi in guerra ha lasciato identità, speranze e persino l’anima.
Oggi a vivificare la sua memoria - e quella delle altre vite dei siracusani caduti al fronte - rimane così il Pantheon. Luogo solenne che di giorno riflette la luce di nuovi tempi e di notte, è riferimento per chi osserva dall’alto dei palazzi la città, forse inconsapevole di avere al cospetto un portale verso la memoria storica.
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