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“N’capu e di sutta è bedda": cos'è la coda di volpe della Sicilia nascosta dal mare

In Sicilia dopo un curvone panoramico, c'è un posto dove risiede “questo costone roccioso dalle forme strane”: dov'è l'opera paesaggistica che toglie il fiato

Salvatore Di Chiara
Ragioniere e appassionato di storia
  • 15 dicembre 2024

“N’capu e di sutta è bedda": una singola battuta racchiude un intero giudizio. Sì, perché la “Coda di Volpe” è ammirazione. Tanta di fronte alla curiosità della gente.

Sciacca è una città dalle mille sfaccettature. Racconta storie paradossali mescolate a fatti di vita quotidiana. Tutto prende forma di fronte alla bellezza delle sue opere e tra queste, nell’intima naturalezza, splende appunto la Coda di Volpe.

Non lontana da piazza Scandaliato e dalle sue opere architettoniche - dopo un curvone panoramico - gli sguardi incrociano la parte superiore di “questo costone roccioso dalle forme strane”. Di fronte alla zona termale di Cammordino, una rupe rompe in due la visuale.

In entrambi i lati splende la luce tirrenica, di un mare che si erge splendido e colorato. In quelle acque sono custoditi tesori valorosi.

Dall’alto la visuale spinge oltre i confini, verso lidi immaginari. Alla destra spicca il porto con le sue contraddizioni. Merita le dovute attenzioni.
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È l’ambiente il protagonista indiscusso del momento con “ritornelli” intonati dai gabbiani festanti che trovano riparo. Nel tempo è diventato l’habitat indiscusso per decine e decine d’intrepidi volatili.

Dell'arco non v'è traccia, è nascosto dalla folta vegetazione che ha preso possesso del panorama. Gli scatti non mancano, nel mezzo “di sibili di vento” provenienti da lontano.

Tira un’aria particolare, dal sapore antico. Come la leggenda o verità di chi, tantissimi anni fa, decise di scavare un varco per far passare il “suo” gregge. Lui era un pastore genovese.

Quell’arco è ancor oggi chiamato “lu Pittusu di Cammordino". Il tempo scorre inesorabile e il pensiero corre veloce: l’arco merita uno scatto frontale, non prima di aver concesso un ultimo sguardo allo Stazzone, un tempo ricco di fabbriche di laterizi.

La passeggiata conduce fino alla Basilica di Santa Maria del Soccorso (Chiesa Madre). Di fronte - a una decina di metri - ecco spuntare la “Discesa Campidoglio".

Case, casuzze e abitazioni pittoresche fanno da contorno, poi, una scalinata chiamata “Zig Zag” conduce sino al porto. Echeggiano voci popolari: sono quelle dei pescatori stanchi. Chi attracca, chi ritira le reti, chi sistema e chi… prova a vincere una partita a briscola.

Più in là, non lontano, una barca arenata. Ha vissuto, lottato, adesso gode della sua vecchiaia. Di fronte il panorama diventa bizzarro, pieno di sfumature.

La statua dedicata al poeta saccense Vincenzo Licata apre a nuovi scenari. Era l’uomo del mare, dei gabbiani, dei racconti leggeri. E improvvisamente la sfrontata bellezza delle rocche di Sant’Elmo e Regina è sotto ai nostri occhi.

Eccola - a un centinaio di metri - la Coda di Volpe svela i suoi segreti. Adesso è il mare a prendere le redini in mano. Custodisce un mistero dal lontano 1581.

In quelle acque affondò una nave con un carico ricco. Grazie all’archeologo Lillo Santangelo - insieme ai sub dei Gruppi Archeologici - sono stati recuperati (dal 1991) ben 11 cannoni, di cui cinque in ferro e sei in bronzo. A circa 5-6 metri di profondità sono presenti altri armamenti.

Le cose belle spesso incontrano periodi difficili. Oltre a una situazione strutturale “complicata” (cedimento), in tempi recenti sgorgavano acque nere (fognarie) giù per il costone.

I soliti dibattiti accesi hanno messo in luce il “classico” fenomeno della mancanza di tatto ambientale. Una brutalità che trova compiacenza, purtroppo. La Coda di Volpe è un’opera originale, che la città di Sciacca non deve lasciarsi sfuggire.
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