Insieme alla musica, sono le parole fra il “cunto” e il canto, a raccontare la storia di due giovani che non potranno vivere il loro amore
«Amo da sempre Claudio Monteverdi. L’unico che ha lavorato con la musica come fanno i cantastorie. L’unico che ha portato nelle note musicali quelle che possiamo considerare parole, che restituisce con la musica la cadenza delle cavalcate e l’impeto delle battaglie. E realizzerò un’opera su questi presupposti con artisti di grande valore». Così Mimmo Cuticchio tempo fa annunciava il debutto del suo nuovo spettacolo custodito gelosamente nel cassetto. E adesso che “
Tancredi e Clorinda” ha inaugurato sabato scorso, 1 agosto, la ventiseiesima edizione de "
La Macchina dei sogni" a Polizzi Generosa (
www.figlidartecuticchio.com), si può dire il sogno di Cuticchio si è finalmente realizzato. Pupi, opranti e cantanti lirici insieme sul palcoscenico.
Al centro poi la commozione di una storia d’amore senz’altro attuale che si conclude sullo sfondo delle crociate e con la scena di Clorinda morente adagiata su una montagna di guerrieri caduti in battaglia. Insieme alla musica, cantata da Luca Dardolo, Picci Ferrari e Ugo Gagliardo e suonata dal vivo dall’
ensemble dell’associazione di musica antica
Antonio Il Verso diretto da Ignazio Maria Schifani al clavicembalo, sono le parole fra il “cunto” e il canto a raccontare la storia di due giovani che pur essendosi incontrati non potranno mai vivere il loro amore. La chiave che ispira il dramma è l’episodio del XII canto “Gerusalemme Liberata” di Torquato Tasso in cui il cavaliere cristiano Tancredi, innamorato della guerriera musulmana Clorinda, è costretto dalla sorte a battersi in duello proprio con lei e a ucciderla.
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E Mimmo Cuticchio, nel suo ruolo di attore-puparo ora dà voce e azione ai tanti personaggi dello spettacolo ora si dedica al racconto affidando, invece, agli opranti Fulvio Verna e Tania Giordano la partitura fisica. In ogni caso rimane sempre dentro l’azione come un grande maestro che regola il tempo e lo spazio di un luogo magico in continua trasformazione. Attento a curare e a seguire passo dopo passo quel delicato equilibrio fra l’improvvisazione basata sulle nove scene del canovaccio e la precisa partitura che la musica impone. In attesa di un crescendo in cui si mescolano dialoghi intimi e urla di guerra, segreti svelati e fatali fraintendimenti. Le trame dell’Opera dei pupi questa volta incontrano il repertorio seicentesco per avvicinarsi all’opera lirica e confezionano con precisione ed eleganza un’ulteriore tappa di quel filone che mette insieme voce, pupi, canto lirico e musica classica. E ancora la musica antica incontra la presenza al contempo muta e viva di quarantadue pupi costruiti per l’occasione e manovrati a vista. Così la scena aperta costruisce con il pubblico un rapporto diretto in cui anche i silenzi e le pause danno respiro alla drammaturgia. Un amalgama di chiaroscuri che strappano “Tancredi e Clorinda” all’effimero del teatro e lo affidano alla memoria.