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Storia di un carrubo che voleva andare via lontano

Era nato per caso in un giorno di primavera e fu subito dichiarato figlio di nessuno. Forse proprio per questo motivo era cresciuto duro e testone...

  • 15 aprile 2013

Era nato per caso in un giorno di primavera e fu subito dichiarato figlio di nessuno. Forse proprio per questo motivo era cresciuto duro e testone. Un padre in verità lo aveva, come tutti d’altronde, ma stava lontano, sul monte che domina la città. Per raccontarla tutta, fu in un giorno di un ventoso autunno che una stizzosa brezza di tramontana spinse il vecchio e nerboruto abitante del monte a generare un figlio nel centro elegante di una raffinata città, abitata da gente colta che costruiva teatri straordinari e bei giardini, ma che presto - aihnoi! - si sarebbe imbarbarita, anche se qualcuno la vorrebbe ancora capitale della cultura, forse un titolo “alla memoria”.

Così come il padre non lo aveva desiderato, in ugual maniera lui crebbe come forestiero a casa sua e non provava alcun desiderio di restare come un ospite nel Giardino all’inglese. Dalla sua aiuola la mattina guardava le ragazze entrare all’Istituto delle Ancelle e i ragazzi bigiare l’entrata del Gonzaga, ma nessuno di quegli strafottenti figli di papà gli aveva mai dato confidenza, si fermavano solamente sotto i pini a fumare le prime sigarette e a raccontare di avventure amorose immaginarie, spacciandole per vere. Aveva tentato, un giorno, di avvicinare una simpatica Cycas ma subito si accorse di quanto fosse pungente e impettita: si dava grandi arie e si faceva addirittura passare per appartenente alla illustre e nobile famiglia delle palme… lei che non era che una qualsiasi pinacea.

Poi, un bel giorno, diventato grande e forte decise all’improvviso di fuggire. Sì, fuggire, perché non si sentiva al suo posto e, per quanto il Giardino all’inglese fosse per definizione uno spazio verde che cerca di sembrare naturale con le sue finte collinette e sottopassi, vasche di acqua e cespugli, un carrubo lì si sentiva assolutamente fuor di luogo. Fu così che pensò di evadere, di scappare per tornare sul monte tra i suoi simili a guardare da lontano la caotica e rumorosa città e, avvicinatosi alla cancellata, iniziò con tutta la forza delle sue radici a sollevarla.

Non fu cosa semplice, i blocchi di pietra d’aspra erano ben fissati nel terreno e pesavano enormemente, ma tanto si sforzò, con le radici che gonfiavano e spaccavano persino il cemento, che finalmente, un pomeriggio, la cancellata fu abbattuta e rovinò con gran fragore sul marciapiede. Proprio in quel momento passava, camminando con gli occhi in giù come se si guardasse stupito i piedi andare avanti e indietro, il ragionier Pernacchia, capo assoluto del giardino, che rimasto schiacciato sotto il peso del tufo e del ferro iniziò a gridare con tutta la forza della sua stridula voce, chiedendo aiuto, incapace di muoversi e maledicendo l’albero selvaggio e ingrato.

Il povero carrubo rimase interdetto, paralizzato dallo spavento, non voleva fare del male ad alcuno e quando, a sirene spiegate, arrivarono i poliziotti con alla testa il professor Barbaresco si vide perso: qui va a finire che mi fanno a ceppi per bruciarmi dentro un camino! Fu messo in catene e portato lontano a bordo di un camion. Si girava a tratti a guardare il Giardino Inglese, dove aveva trascorso una vita non felice ma tutto sommato serena, e una goccia di resina iniziò a correre lungo un ramo sino alla radice, nuda al sole del tramonto.

A un certo punto però un forte odore, un profumo nuovo e buono arrivò alle sue foglie già accartocciate, era salmastro, fresco e sconosciuto: era il mare. E davanti al mare, in un giardino coltivato a niente, che tutti chiamavano Foro Italico, alla faccia del Savoia, fu messo a dimora. Il giardino era piatto e brullo ma con una incantevole vista sul bellissimo monte dei suoi avi e il grande carrubo davanti al mare visse felice e a lungo distribuendo i suoi frutti ai palermitani che lo venivano ad ammirare, riparandosi dalla calura sotto i suoi rami.

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