CINEMA E TV
Saimir, alla ricerca di un riscatto possibile
Saimir
Italia, 2004
Di Francesco Munzi
Con Mishel Manoku, Xhevdet Feri, Lavinia Guglielman, Anna Ferruzzo
Saimir e il padre Edmond, albanesi, vivono sul litorale laziale mantenendosi con espedienti ricavati da loschi traffici alle spalle di ingenui conterranei che toccano infreddoliti le coste italiane. “Com’è l’Italia?”, chiedono continuamente a Saimir i clandestini appena arrivati, e lui non può che opporre loro il suo sguardo muto e beffardo, triste e forse al contempo invidioso nei confronti di chi ha ancora una qualche forma di speranza quando lui, malgrado la giovanissima età, le ha già perse tutte. Il ragazzo guarda perennemente di sbieco, diffidente verso il padre e verso tutti: uno sguardo obliquo per la sua età, per il suo essere straniero e clandestino. Il regista non vuole proporre un’analisi sociologica della condizione dell’immigrato, ma intreccia i percorsi etnico e generazionale creando una storia in cui non si addentra in profondità, ma in cui l’essere superficiali è più una questione di pudore che non sinonimo di pressapochismo. Saimir viene coinvolto in storie più grandi di lui: non gli è permesso essere giovane come gli studenti italiani che vede divertirsi sulla spiaggia. Ha delle responsabilità verso la sua famiglia residuale, marginale. Si ritrova a rubare in una villa insieme ad altre giovani vite perdute e il furto diviene una danza, gli occhi sgranati su piscine e pellicce, pianoforti, oggetti irreali, soltanto sognati, da consegnare subito al capo per una magrissima ricompensa. Saimir è un diffuso nome albanese che significa “il giusto”.
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