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"Robbette di capriccio", ovvero la gioiosa arrustuta

Dopo la Quaresima, che impone lunghi digiuni fra un pasto e l'altro, fioretto titanico per i cittadini, abituati a piluccare giusto qualcosina per prevenire la sempre imminente gastrite, arriva la Pasqua, festa di gioia, simbolo di rinascita spirituale e di riavvicinamento alla parte profana - in primis manciari e viviri - fintamente ignorata: tutti sono disinteressati, nessuno si occupa di queste cose terrene, quasi volgari. U masculu di casa, responsabile della socialità familiare, decide due settimane prima il posto deputato ad accogliere parenti e amici. In genere i luoghi prediletti sono quelli canonici: i parchi, sforzandosi, Palermo ne è piena; le spiagge limitrofe alle città, ancora non invase da cancellate, prese d'assalto con tanto di radio e fornelli da campeggio; le campagne.

La fimmina, preoccupata perché u picciriddo ultimamente manciò picca, invece si occupa del settore culinario. “Manciò solo a pasta e quattru pizzuddicchi i cainne”, consistenti in 250 gr di pasta bella condita con 150 gr di spolveratina di cacetto e quattro fette di 'mpanata. Ma u figghiuzzu non solo ‘un manciò a frutta, cosa grave assai perché cci fa bene che c'ha le vitamine, ma neanche la caponatina, che cci piace troppu. Si scopre che l'armaluzzu, con gli amichetti, si ju a tastare qualche primizia, robbetta di capriccio. Cose dorci dal mondo... della strada. E queste cosuzze sono buone solo così, col pruvulazzo. In questo periodo una fitta nebbia avvolge la città. Si vedono da lontano dense nubi. Essendo a Palermo ci si chiede cosa possa essere?
Basta naschiare e un vortice si apre in te. Neanche le caramelle balsamiche. Ti sale nella gola e anche nel naso. Ti travolge e, con le alette ai piedi, ti ritrovi implorante a chiederne due, tre stecche per nutrire il condominio nello stomaco, a cui devi garantire il sostentamento.

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Tu aspetti con la bava alla bocca, mentre l'armaluzzu arriva ed è subito pronto. Con gli amici si cafudda sei, otto stecche, belle inzuppate di limone e ha anche il coraggio di dire “Chista è buona, ora faccio un coppu e me lo porto a casa”. Chiddu arrustisce, l’autru mancia e tu aspetti. L'armaluzzu sa quando il capriccio è fino, riconosce la delizia fatta con maestria: scalognetto, budellino di agnello tenero e morbido, che si taglia, diciamo, con un grissino e ciavuru che ti fa dimenticare quello di femmina, con tutto il rispetto parlando. Festa delle stigghiole - ecco il nome che già foneticamente rende la callosità della pietanza opponendo una sibilante alla dentale, seguite dalle gutturali, che danno un'idea di come il boccone scenda nell'antro, dopo una masticazione che apre al mondo esoterico, quello della Pasqua.

Degno compagno di cerimonia: il crasto, in genere si usa l’agnello o il capretto. L'animale sacrificale - di dieci, dodici chili, quelli più piccoli sono insapore e inconsistenti - viene onorato: al forno con le patate, apparecchiato, aggrassato, cioè cotto in tegame con la sfumata di marsala; vengono apprezzate le carni tenere, dolci, con quella punta di beccume a cui non siamo più abituati.
Voleva la tradizione che i bambini più esuberanti venissero arrostiti, non si usava scioglierli nell'acido, poi con la crisi delle nascite si preferì sostituirli con il castrato. Ancora oggi nei parchi si trovano mandrie di fanciulli allo stato brado. I genitori li portano al pascolo e, con l’avallo dei ziani, offrono la mercanzia al miglior acquirente, sottolineando l'agilità e la sodezza dell'animale in corsa dietro una palla. Ci sono sempre delle graticole pronte su cui si può cuocere il prescelto o il castrato, pasteggianco con favette e vinello ‘mpietra. Dopo una lunga giornata a scorazzare, per concludere la gita fuori porta, tra una partita a carte e qualche chiacchera e per la lavata di mussu, verso le diciotto: quattru cacocciule alla brace e patate al cartoccio e poi svelti, svelti a casa che s'ha a priparari a cena: rimasugghi ra matina con tanto di cassata finale, perchè se no che Pasqua è?

L’abbinamento

Come in tutti gli alimenti, anche la carne ha un elemento gustativo predominante che la contraddistingue. La sua caratteristica principale è la succulenza, soprattutto indotta, che si percepisce immediatamente durante la sua degustazione, ma troviamo anche una tendenza dolce che può essere più o meno forte a secondo del tipo di carne. Altri caratteri come l'aromaticità, la grassezza, la speziatura sono elementi che variano con il condimento o la salsa con cui il piatto è servito. Quando parliamo di carne grigliata dobbiamo, inoltre, tenere presente di una certa tendenza amarognola che il tipo di cottura comporta, ed ecco che abbiamo bisogno di un vino rosso fruttato, di medio invecchiamento, morbido, fresco di acidità, caldo e strutturato, e con una buona persistenza aromatica intensa. Suggerisco di puntare su un prodotto di ottima qualità come il Donnatà della cantina Alessandro di Camporeale.

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