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Pietro Cataldi, il disagio visto con gli occhi del letterato

  • 30 gennaio 2007

I luoghi del disagio sono una realtà del contemporaneo. Oggi non possiamo far finta di non vedere le periferie di Palermo. Oggi non possiamo non sentire il bisogno di denunciare i processi di marginalizzazione in atto. È un tema – quello dei luoghi del disagio – caro alla geografia culturale e all’antropologia. Martedì 23 gennaio, presso la Sala Barone del Palazzo Steri in piazza Marina, si è discusso di questo, ma da un punto di vista originale. Quello della letteratura. S’è infatti aperto, per il sesto anno consecutivo, un ciclo di seminari letterari organizzati in collaborazione dall’Università e dai Licei di Palermo. L’argomento dell’anno è “I luoghi nella letteratura del Novecento” e si dipanerà attraverso quattro di questi incontri. Il primo ha avuto per tema “I luoghi del disagio” e per ospite Pietro Cataldi, docente di Letteratura Italiana e di Didattica della Letteratura all’Università di Siena. Romano, Cataldi è famoso perché co-autore di “La scrittura e l’interpretazione”, uno dei più usati testi di Letteratura nelle scuole e nelle università. È anche direttore della rivista “Allegoria” e ha pubblicato numerosi scritti di critica letteraria. Dopo la presentazione di Michelina Sacco Messineo, docente di Letteratura all’Università di Palermo, è il turno di Cataldi che prende per mano il pubblico – sala stracolma, anche di giovani studenti – in un viaggio attraverso i luoghi della letteratura moderna e l’identificazione problematica dei vari autori presi in considerazione. Cataldi ci tiene a sottolineare l’inscindibilità del luogo dal tempo. Non serve a niente considerare un luogo, se non lo si contestualizza in un tempo determinato.

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I luoghi sono continuo mutamento, e dobbiamo smettere di credere a una stabilità che non esiste. Sono le istruzioni per l’uso e il viaggio può cominciare. Leopardi, in “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, ci fa vedere il disagio del protagonista in un luogo a lui familiare: il pastore non riesce a cogliere il senso della natura che incontra, nemmeno delle pecore che conosce benissimo, tutto per lui è enigmatico. Ne “Il cigno” di Baudelaire, l’io lirico si guarda intorno e scopre una Parigi del tutto diversa rispetto a quella da lui conosciuta: in questo caso, il luogo – la Parigi moderna – non gli è più familiare, e dunque a maggior ragione stenta a riconoscersivi. Disagio? Lo vediamo ancor meglio e ancor più da vicino in “Ossi di seppia” di Montale: il paesaggio – il mare dal quale tutto viene scaraventato di qua e di là – diviene regno della frantumazione, l’identificazione può avvenire con uno o più frammenti, ma sarebbe soltanto insensata un’identificazione con tutto l’insieme. Cataldi ci fa notare come la letteratura divenga metafora della vita. L’uomo contemporaneo rischia di appiattirsi di fronte alla normalità delle sue giornate e di diventare un pastore errante alla ricerca di un senso. L’uomo contemporaneo rischia di non ritrovarsi a suo agio nel continuo mutamento dei luoghi che lo circondano – si chiamino essi Parigi o Palermo. L’uomo contemporaneo rischia di accorgersi di quanto la vita sia labile e di come non si possa fare altro che accontentarsi di qualche frammento. Il professore romano porta altri esempi, e poi risponde alle domande di chi vuole intervenire. Da “Dietro il paesaggio” di Zanzotto, si intravede una sorta di aproblematicità nei confronti del disagio: invece Cataldi si augura che del disagio si continui a parlare perché solo in questa maniera si può riuscire a trovare una strada percorribile. E quando gli chiediamo un’opinione sulle periferie e sui processi di marginalizzazione, Cataldi è convinto. Le periferie contemporanee sono l’emergere di una società nella quale vigono rapporti di potere: se cominciamo a non nascondercelo, il disagio di alcune periferie comincerà a venir meno. Lui ha cominciato dalla letteratura.

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