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Contro la siccità in Sicilia le piogge (ancora) non bastano: cos'è lo "scenario zero"

Chiedersi come mai le dighe non abbiano cominciato a riempirsi con le ultime piogge è comunque naturale, soprattutto considerata l'entità delle precipitazioni

Aurelio Sanguinetti
Esperto di scienze naturali
  • 4 novembre 2024

Da diversi mesi la Sicilia è afflitta dalla siccità e con l'arrivo dell'autunno in molti speravano che le piogge avrebbero potuto migliorare sensibilmente la situazione idrica della nostra regione.

Sfortunatamente, non è stato così. Le recenti piogge non sono infatti riuscite a rimpinguare le nostre scorte e la condizione delle principali città siciliane rimane critica, come dimostra il recente razionamento dell'acqua che si sta attuando nel palermitano.

Le ragioni che hanno portato a questa situazione sono molte e li abbiamo affrontati varie volte nel corso dei mesi appena passati.

Tuttavia, è indicativo il fatto che gli acquazzoni autunnali avvenuti nello scorso ottobre – per quanto devastanti per l'economia e dal punto di vista agricolo, con milioni di euro di danni – non abbiano permesso di risolvere la crisi, come auspicato dallo stesso Presidente di regione Renato Schifani in alcune delle sue dichiarazioni settimane fa.
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Chiedersi come mai le dighe non abbiano cominciato a riempirsi con le ultime piogge è comunque naturale, soprattutto considerata l'entità delle precipitazioni che sono avvenute in alcune zone dell'isola (per esempio il messinese, il catanese e il nisseno).

Anche in questo caso, tuttavia, la ragione è strettamente collegata all'intensità delle piogge, talmente violente che hanno impedito al suolo e ai bacini di assorbire e accumulare l'acqua in maniera efficiente, ove era possibile.

Buona parte delle piogge sono state infatti trascinate via dalla forza della corrente, dirigendosi verso il mare o lontano dai fiumi o dai laghi, amplificando il problema della siccità che continua a imperversare per la Sicilia.

C'è poi anche da considerare la distribuzione delle piogge stesse, che sono avvenute lontano dai principali bacini idrici, amplificando il problema della confluenza delle acque.

Nel caso infatti avessimo avuto intense precipitazioni nei pressi del territorio di Piana degli Albanesi o del lago Ancipa, buona parte delle piogge si sarebbero potute accumulare dentro i bacini, favorendo la rigenerazione delle risorse idriche.

Ciò però di fatto non è avvenuto e buona parte delle piogge sono andate disperse. A confermare questo dato inquietante è l’Anbi – associazione che riunisce tutti i Consorzi nazionali responsabili della bonifica degli invasi – che nel suo ultimo report ha chiarito come all'interno della nostra regione buona parte delle dighe siano sempre vuote, anche quando piove.

Ad inizio ottobre, per esempio, in un periodo che in teoria sarebbe dovuto essere stato considerato piovoso, erano solo 3 le dighe che avevano sufficiente acqua per definirsi "funzionali e in salute". 3 dighe su 29.

Un altro problema legato alle piogge è quello inerente al terreno, provato da mesi e mesi di siccità. Un terreno riarso, cotto dal sole, risulterà infatti meno capace di trattenere le piogge, qualora la sua superficie presenti i segni dell'aridità, le sue piante siano mezze morte e la quantità di acqua che giunge del cielo sia notevole.

Ciò causa ovviamente allagamenti e danni alle campagne, con le colture che risultano impreparate per affrontare le precipitazioni.

La situazione idrica sta diventando così grave che all’interno dell’autorità regionale di bacino e della cabina di regia per l’emergenza i tecnici e i politici deputati a gestire il problema stanno cominciando a riflettere su come affrontare il tanto temuto scenario zero, che prevede l’assenza completa di precipitazioni da qui fino alla fine della primavera.

Antonino Granata, membro dell’Anbi, ha per esempio spiegato che fra pochi mesi si rischia di assistere all’esaurimento definitivo degli invasi dell’Ancipa e del Fanaco, due delle dighe più importanti della regione.

Basti pensare che l’Ancipa fornisce acqua potabile a diverse cittadine del nisseno e del catanese, mentre il Fanaco permette a diversi comuni della Sicilia centrale – tra palermitano, agrigentino e nisseno – di sopravvivere.

Stessa fine attende altri invasi del palermitano: il lago Poma e la diga Rosamarina dovrebbero infatti esaurirsi a partire dalla fine di febbraio prossimo.

Per far fronte a questi problemi, il governo regionale prevede l’apertura di nuovi pozzi e l’arrivo di nuovi dissalatori in tutta la Sicilia, ma come spiegano da mesi i gruppi ambientalisti queste soluzioni potrebbero non bastare, nel caso in cui non piova.

Per affrontare il problema, gli attivisti chiedono al governo nazionale e a quello locale di riparare in fretta le tubature che portano l’acqua dalle dighe alle città, considerando che le perdite sono divenute insostenibili e minacciano seriamente la sopravvivenza stessa delle comunità siciliane.
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