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Nuccio Squillaci, disegni in mostra a Casteldaccia

  • 5 marzo 2007

Dopo le recenti personali di Giusto Sucato e Giovanni Leto, il Chimu' Handesign di Casteldaccia (via Pinello 17) espone alcuni recenti disegni del catanese Nuccio Squillaci (a cura di Gianfranco Labrosciano, sino al 12 marzo, tutti i giorni, esclusi i festivi, dalle ore 10 alle 13 e dalle 16.30 alle 20). Prosegue così l'intelligente stagione espositiva voluta da Lorenzo Guzzo e Caterina Tosi, dinamici ideatori del “centro di ricerca per il design d'interni”: circa venti opere, perlopiù di piccolo formato, dialogano con i raffinati progetti dello show room, sintesi delle capacità creative dei due giovani titolari, espressa in complementi d'arredo di efficacia contemporanea. Nuccio Squillaci procede per strutture e ritmi di rapida percezione, collocando sommariamente possibili figure (o cose) in uno spazio che tende a respingere precise simbologie, annullando ogni marcata fisicità. L'ambizione dell'artista è, come questi recenti disegni testimoniano, quella di operare sullo iato plurimo tra natura, idea del naturale e la visione nelle sue complesse movenze psicologiche, per isolarne gli impulsi immediati e selettivi, capaci di diventare rappresentazione.

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Eppure non siamo mai di fronte a una attitudine analitica: l'analisi stabilisce, è vero, una marca ordinatrice, ma non inemotiva; indica uno spazio in cui porre un sistema di distanze e di rapporti possibili, in cui il segno definisce una figurazione che, grazie all'abilità disegnativa (e interpretativa) di Squillaci, si sottrae alla clausola di somiglianza. Come nella grafica di Gianquinto, di Guccione o di un Giancarlo Ossola, il “corpo del disegno” è fatto di “tracce sostanziali” di “misurati percorsi, attraverso schermi, (...) emozioni di presenze umane o di natura” (come scrive quest'ultimo) di cui importa la capacità di attivare una scena, di indicare presenze come momenti d'una fluenza plastica da cogliere e fissare. Il segno di Squillaci conduce ad una interrogazione dove l'immagine, la forma, il colore, diventano il tramite di una coscienza del reale; potremmo anzi dire che è una labile coordinata che forma una nuova realtà, fatta di suggestioni: evocazione più che dichiarazione, memoria del visto, del visibile e anticipatrice, sintesi di altre immagini (di altre realtà) non ancora definite eppur possibili. Non racconto dunque, ma reperti, tracce che terminano dove l'energia del gesto si esaurisce, offrendo luoghi senza resistenza, territori precari e immateriali, liricamente astratti, come fossero tinte sonore.

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