TEATRO
Nel canneto la voce delle anime perse del Woyzeck
Lo splendido, fitto canneto, inquietante voce di anime desolate e smarrite, si staglia sullo sfondo della scena, dominando ogni cosa. Ora insidiosa visione dalla quale appaiono teste e fantocci (e cos’altro è questa misera umanità qui rappresentata?), ora vano rifugio dall’enorme desolazione imperante, ora talamo di sangue e disperazione. È questo l’elemento che più di ogni altro racconta e descrive della cupa abiezione dalla quale Woyzeck non riesce ad affrancarsi, in un coro affascinante di suoni e rumori che si affiancano a musiche di bande lontane, echi di mondi di irreali lente esistenze. Incisive le scenografie della brava Mela Dell’Erba (suoi anche i costumi) che traducono visivamente il disegno di Claudio Collovà, regista (e autore della traduzione e dell’adattamento) di questo dramma senza speranza, “Woyzeck” di Georg Büchner, una produzione dello stesso Teatro Garibaldi insieme con l’Unione dei Teatri d’Europa, la cooperativa teatrale Dioniso e Kals’Art, in scena in prima nazionale al teatro Garibaldi di Palermo alla Kalsa (in via Castrofilippo), dal 30 agosto al 6 settembre nel cartellone della stagione 2005, con Alessandra Luberti, Giuseppe Massa, Simona Malato, Alessandro Mor, Piera Pavanello, Luigi Di Gangi (musiche di Giacco Pojero e Nino Vetri, da sempre collaboratori di Collovà, luci di Andrea Narese). Nello spazio sottostante l’imponente canneto, costruito su quello che un tempo in origine doveva essere il palco del teatro, piatti e tegami militari animano rumorosamente la scena, spezzata e subito ricomposta in distinti ambienti, secondo un disegno in continuo divenire, da tre brande inusitatamente poste verticali a mo’ di paravento, nei quali le tre coppie di Marie e Woyzeck procedono nell’irrefrenabile incedere verso i mortiferi eventi.
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