LIBRI
"Midnight in Sicily" nel crocevia del Grand Re-Tour
Esigenze di copione dicono: raccontare il convegno letterario internazionale sul tema “La Sicilia nell'immaginario dei viaggiatori contemporanei”. Ad inizio pagina si annota la data, mercoledì 11 ottobre 2006, si stende la notizia aspettando che asciughi, prenda forma e sia la più precisa possibile: Palermo, Palazzo Branciforte, sede della Fondazione Banco di Sicilia. Una sala gremita di gente, intellettuali, scrittori, applaude i fautori del progetto “Gran Re-Tour: il viaggio in Italia alla scoperta del Bel Paese del terzo millennio e della sua creatività”. In questo pellegrinaggio culturale, ci si avvale delle voci di scrittori stranieri che il nostro Bel Paese l'hanno attraversato e raccontato.
Nella prima delle tre giornate itineranti, dedicata alla produzione letteraria, sono quattro gli autori protagonisti: Edith de la Héronnière, Theresa Maggio, Mary Taylor Simeti e Peter Robb. La conseguente necessità è quella di intercettare uno di quei viaggiatori, fermarne la penna e domandare al loro immaginario di raccontare alcune di quelle visioni sulla nostra terra. L'intervista programmata è con Peter Robb, australiano, autore dei libri di successo “M. L'enigma Caravaggio” (Mondadori, 2002) e “Midnight in Sicily” (Australia, 1996 - mai tradotto in italiano).
Ci appartiamo in una sala e nel tentativo di riportarlo al mio copione tiro la lenza, ma sono io all'amo di questo racconto innamorato di una Sicilia capace di affascinare per il suo lato oscuro e contraddittorio. Non solo sinuose forme o caratteristici passaggi urbani ma colori e fotografie che immortalano e raccontano anche attraverso i personaggi di Tomasi di Lampedusa e Sciascia. L'identità di Peter Robb scrittore-viaggiatore e del suo Voyage en Italie, inizia proprio dal ritratto della Sicilia nel suo “Midnight in Sicily”, descritta tra una caponata e un assassinio di mafia, tra gli scorci della Vucciria e le inchieste politiche.
Robb mi spiega che l'esigenza del libro è nata successivamente al caso Andreotti, alla conoscenza degli atti giudiziari che l'avevano completamente incollato alla sedia: «Per uno straniero è incomprensibile come possa esistere questo rapporto così evidente tra mafia e politica». Così l'esigenza di raccontare la Sicilia vissuta nel '71 e nell'82 e non solo la mafia di “Cosa Nostra”, ma le radici dell'isola, i suoi colori, i suoi gusti culinari, i suoi bailamme e il sentimento di anti-mafia. Le sue parole datano millenovecentoottantadue: «Era un anno notevole. Credo fosse l'anno in cui è iniziata la guerra terribile di Riina contro le varie famiglie palermitane. Era un anno di centinaia di migliaia di morti ammazzati a Palermo e a Napoli ed io mi ricordo che in quell’occasione mi sono sentito oppresso dai silenzi pesanti di Palermo ed ogni tanto cercavo di attaccare il discorso di mafia con qualcuno ma mi rispondevano “C'è mafia? Perchè, c'è mafia? “. L'atmosfera era opprimente».
La Sicilia è una terra di contraddizioni, lei crede sia una donna vittima dei suoi figli o genitrice stessa di sopraffazione?
«Io ho conosciuto gli avvenimenti di mafia, ma ho anche conosciuto le persone che hanno portato avanti il sentimento di anti-mafia, come Anna Puglisi, Umberto Santino e sua moglie che gestiscono il centro di documentazione Peppino Impastato».
Lei conosce quindi il caso Impastato?
«Si, poi qualche anno fa ho visto il film "I cento passi". L'avrei visto anche prima se avessi saputo. L'ho trovato molto commovente e reale. C'è quel momento della storia, la contestazione studentesca contro quella maniera di vivere in Sicilia. Anche nel mio libro, anche nella realtà ci sono naturalmente delle cose orribili che non si possono negare o nascondere, ma c'è sempre il contrario. È questa, secondo me la vera contraddizione di cui mi domandava, che è anche una delle cose più affascinanti della Sicilia. Nella vita non prevale mai il bene e non prevale mai il male. Sono sempre in lotta».
In molti siciliani questa realtà provoca rabbia e senso di rivendicazione, lei cosa prova?
«Pur non essendo vissuto in Sicilia, ho sempre avuto l'impressione che sarebbe molto difficile essere siciliano. Il potere dell'ambiente sociale è talmente forte. Ho l'impressione che è una società in cui le pressioni sociali ed ambientali sono molto forti e non so quanto spazio esistenziale abbia il singolo individuo in Sicilia. È questo il potere della mafia. Sono le pressioni di chi ti circonda. Nonostante questo ho pensato spesso di vivere qua, talvolta lo penso ancora, probabilmente non lo farò. Vengo spesso in Italia ma penso di avere chiuso la fase italiana della mia vita».
Ritorniamo al senso del viaggio. Definirebbe con una sola parola: la Sicilia, i viaggiatori, l'immaginario?
«La Sicilia: l'acqua che circonda l'isola, l'acqua che manca, l'acqua controllata dalla mafia. È questo che volevo dire quando ho detto acqua. C'è il fatto che i fiumi sono secchi e la mafia controlla l'accesso all'acqua. L'acqua è la vita. I viaggiatori: i turisti. L'immaginario: Il trionfo della morte».
Secondo lei perchè si viaggia?
«Certamente non è per avere delle esperienze nuove. Io detesto viaggiare. Mi piace in certi punti della mia vita stare in posti diversi da quelli che già conosco ma il fatto di andare da un punto all'altro è una cosa che detesto. Io non mi ritengo un viaggiatore ma neanche un turista».
Goethe diceva che chi vive deve essere pronto ai mutamenti, è questa secondo lei la dote principale di un viaggiatore?
«Nel Gattopardo il Principe dice: Tutto deve cambiare perché nulla cambi!»
E la dote di uno scrittore?
«La capacità di ascoltare»,
Johann Peter Eckermann disse che: "Viaggiare sarebbe meraviglioso, se non si dovesse poi tornare." lei che ne pensa?
«A me non piace mai tornare indietro e quindi bisogna andare sempre avanti».
Nel suo libro su Caravaggio il richiamo alla pittura è necessario, poi anche in Midnight in Sicily, si parte dalla tavolozza guttusiana della Vucciria. Esiste, quindi, un rapporto tra la sua scrittura e la pittura?
«Evidentemente sì, ma non era una cosa pianificata. Quando venni a Palermo, mi ha colpito moltissimo quella stupenda immagine del Trionfo della Morte. La "Vucciria" di Guttuso era molto meno intensa ma volevo raccontare la storia della morte del pittore col coinvolgimento di Andreotti. Così ho fatto nel primo capitolo, raccontando il primo incontro con Palermo nei primi anni settanta proprio alla Vucciria, che allora era un luogo stupendo. Ce l'ho ancora in mente, adesso è molto malandato, è un luogo triste».
L'intervista finisce dopo l'ennesima interruzione ai doveri della mostra. Mi rendo conto di non avere seguito le esigenze di copione, il mio è un diario di bordo che sigla passaggi immaginari e veri di un viaggiatore esemplare. Ho capito che il viaggio non è attraverso le cose, ma dentro, come quello che ci rimane impigliato dopo la nostra partenza. Robb sorride scusandosi: «Credo che intervistarmi sia una cosa terribile, parlo troppo, il giornalista vuole sempre risposte brevi e brillanti che colpiscano, ma io sono incapace di farlo». Poi guarda il piccolo registratore da tavolo che ha frugato nelle sue parole e mi chiede se una cosa così piccola è capace di contenere quel fiume di parole. Io mi chiedo lo stesso di questo articolo.
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