CINEMA E TV
Le invasioni barbariche: la forza dei legami
Una storia di ordinario dolore, ma anche una storia di illusioni fallite e di famiglie rattoppate, di grande amicizia e di grandi sentimenti, di ironia pungente
Le invasioni barbariche
Canada – Francia 2003
drammatico
di Denys Arcand
con Remy Girard, Stephane Rousseau, Marie- Josee Croze, Dorothee Berryman, Pierre Curzi, Yves Jacques
E’ una storia amarissima quella raccontata in questo film franco-canadese pluripremiato a Cannes. Una storia di ordinario dolore (perché il cancro è un male con il quale troppo spesso facciamo i conti, direttamente o indirettamente), ma anche una storia di illusioni fallite e di famiglie rattoppate, di grande amicizia e di grandi sentimenti, di ironia pungente. A Montreal un professore (Remy Girard) sta morendo. L’ospedale in cui è ricoverato è un disordinato labirinto di sofferenza. La cinepresa, dopo poche sequenze tranquille, ci accompagna frenetica attraverso corsie e stanze seguendo il figlio che, dal dorato mondo della Londra finanziaria, fa ritorno al capezzale del padre. Sembra che di là dall’Oceano, come qui in Italia, un posto letto dignitoso e delle cure adeguate, in una struttura pubblica, siano un lusso.
Così a poco a poco, con un delicato tam tam, intorno al malato si riuniranno gli amici più fedeli (chi è stata sua amante, chi è gay e si è affermato con un bel lavoro in Italia), e tutti insieme cominceranno a ripercorrere gli anni, le scelte, le opinioni, i credo, le vicende che li hanno uniti e quello che sono diventati, e la stanza d’ospedale diventerà un luogo caldo e apparentemente allegro. Fino alla fine, nonostante serva l’eroina e l’aiuto di una giovane tossica (Marie-Josee Croze) per procurarla, per sopportare il dolore. Fino alla scelta estrema della cosiddetta “dolce morte”, al centro da sempre di accessi dibattiti e che in tanti ci rifiutiamo categoricamente di accettare come scelta possibile, dal punto di vista etico e religioso.
Il film sta qui, nella estrema durezza del vissuto e nella forza dei legami che, anche quando sembrano sopiti e distanti, aiutano ad affrontarlo. E’ un “Grande Freddo” malinconico, non cinico, che si chiude aprendo a nuove speranze. Con il titolo, poi, il regista e sceneggiatore (Denys Arcand) ci pone un ulteriore argomento di riflessione: il periodo che stiamo vivendo, è quello delle nuove invasioni barbariche? I terroristi di Al-Quaeda stanno davvero minacciando la sopravvivenza del nostro mondo?
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