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Le bugie bianche per ingannare lo stomaco

Provate a dire a un oriundo dell’Arenella se è di Vergine Maria, o a uno dell’Albergheria se abita al Capo. Vedrete le facce tramutare e con una smorfia di stizza vi sentirete rispondere «…forse non ha compreso! Io sono di Borgo Nuovo, non di Cruillas. Non faccia confusione tra l’oro e il piombo!” (Il traduttore ha escluso intenzionalmente quelle invettive folkloriche rivolte all’intervistatore, considerandole poco influenti per la comprensione testuale, lasciando alla fervida immaginazione del lettore la possibilità di colmare tali omissioni, ndA).

Provate a confondere la Kalsa con Romagnolo e sarete seriamente in pericolo, causa di un’offesa gravissima! Ogni quartiere sembra avere un’identità fortissima, che oltrepassa l’appartenere alla stessa città. Ognuno di essi ha delle peculiarità che lo differenziano dagli altri, così ognuno ha il proprio santo protettore, ognuno ha il proprio boss, il proprio spacciatore; al Capo si trova dell’ottima carne, alla Vucciria le leccornie sotto vetro e gli aromi, a Ballarò le verdure, a Porta Carbone il pane ca’ meusa, di fronte l’Ospedale dei bambini c’è un apprezzato rivenditore di frittola, nella piazza di Settecannoli, chiamata così per la fontana con sette bocche, c’erano gli ambulanti che vendevano il ficato, detto appunto di Settecannoli.

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Il nome non deve trarci in inganno, il fegato non era merce da carrettella, era troppo costoso, si trattava di umile zucca rossa cucinata in agrodolce. I Siciliani, popolo povero di mezzi e ricco di fantasia, come lo sfincione scarsu d’ogghiu e chin'i pruvulazzu, hanno sempre trovato valide alternative, che proteggessero le tasche e appagassero i palati, anche a costo di ingannare lo stomaco. Preparare questa bontà è semplicissimo. In una padella si fanno imbiondire due spicchi d’aglio con un po’ d’olio d’oliva. Una volta eliminati, si soffriggono le fette di zucca, tagliate larghe e non molto spesse, voltandole solo quando sono ben dorate, come se fossero fette di carne. Quando sono quasi cotte si fa evaporare l’aceto e lo zucchero, alzando la fiamma, infine si profuma con la menta e a piacere si aggiungono i capperi dissalati. Va servita preferibilmente a temperatura ambiente, magari con belle fette di pane casereccio croccante.

Dalle carrettelle si spandeva un odore che sembrava quello del fegato. E chi non poteva permettersi la canonica fetta, si accontentava di questo surrogato, che brutto brutto non era! In fondo "'a panza è minchiuna", basta che la jinchi! Ancora oggi si dice “E che è, ficato ri Settecannola?” per identificare un imbroglio ben celato. In ogni caso sarà anche solo e sempre cucuzza, ma ha la capacità indubbia di arricchire i minestroni, di addolcire i passati di verdura, di smorzare l’aggressività di formaggi stagionati, equilibrandone il sapore, di abbellire i dolci, per esempio la cassata, di riempire crostate, basta ardire e inventare accostamenti poco usuali, ma magari squisiti. In fondo soprattutto in cucina chi non risica, non rosica!

L’abbinamento

Gli ortaggi, come tutti gli alimenti, hanno alcuni elementi predominanti che ne caratterizzano il profilo sensoriale. Prendendo in esame la zucca, la nota gustativa maggiormente evidente è senza dubbio la tendenza dolce. Questo dato si inserisce in un tessuto di sapori altamente variegato e composito e caratterizzato da diversi elementi. Su tutti è la presenza dell’aceto a complicare un po’ le cose, data la manifesta tendenza acida in grado di compromettere qualsiasi abbinamento con il vino.

Tuttavia a livello gustativo il piatto risulta abbastanza equilibrato ed armonico e non si riesce a percepire una netta prevalenza dell’aceto, così come degli altri ingredienti utilizzati. In conclusione credo che un perfetto abbinamento lo si possa raggiungere con un blend tra un vitigno internazionale ampiamente noto alla massa, lo chardonnay, e un altro che, nonostante il suo nome possa metterne in dubbio l’origine, appartiene ai numerosi vitigni autoctoni della nostra regione: il grecanico.

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