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La Traviata della Comencini: tradizione riattualizzata

  • 19 febbraio 2007

Il dramma dell’amore puro, di un sentimento forte che si offre, si dona e si sacrifica per l’altro. Una realtà forse troppo lontana da noi, ma vera e commovente nella Traviata di Giuseppe Verdi. L’opera con la regia di Cristina Comencini e l’allestimento curato dal "Maggio fiorentino", sarà in scena al teatro Massimo di Palermo dal 23 febbraio al 3 marzo, a interpretare la struggente passione di Violetta e Alfredo saranno Andrea Roth e Stefano Secco, diretti dal podio dal maestro Stefano Ranzani. Dopo dieci anni di assenza dalle scene palermitane torna a essere rappresentata una delle più coinvolgenti opere della lirica verdiana, un evento speciale che già sin da ora registra il tutto esaurito.

Il dramma lirico in tre atti prende spunto dal romanzo "La dame aux camelias" di Alexandre Dumas figlio, venne per la prima volta rappresentato a Venezia, al teatro La Fenice, il 6 marzo del 1853 registrando in questa sua prima messa in scena un totale fiasco. La Traviata costituisce insieme al Rigoletto e al Trovatore la così detta trilogia popolare del compositore di Roncole di Busseto. Si è scelta la via di un’attualizzazione complessiva del dramma senza inutili forzature «È difficile soffiare aria nuova su un titolo di repertorio – spiega Lorenzo Mariani direttore artistico del teatro –, però bisogna farlo proprio anche grazie anche al punto di vista di una regista donna. Questa Traviata ha voluto raccontare una verità di sentimenti e di passioni attuali». Un dramma di passioni e sentimenti che muove i suoi passi su una musica di rara perfezione: «La partitura è perfetta, per così dire mozartiana – aggiunge Stefano Ranzani –, non c’è una nota fuori posto, ogni cosa ha una sua precisa ragion d’essere. Il direttore d’orchestra si trova a ricoprire un duplice ruolo, quello di musicista ma anche, e soprattutto, di coordinatore di forze musicali. Deve essere umile e rendersi quasi trasparente per diventare un tutt’uno con il testo musicale, trasmettendo non suoni ma musica».

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Cristina Comencini, regista cinematografica, scrittrice e sceneggiatrice, si è confrontata con la regia di un’opera, eliminando alcuni elementi che la rendevano in un certo senso obsoleta e superata, non ultima l’ambientazione temporale della storia che con la sua regia è stata spostata alla fine dell’Ottocento. «Non mi interessano scenografie avanguardistiche. – ha puntualizzato la Comencini. Ho spostato le atmosfere alla fine dell’800 perché la considero un’epoca elegante ma che offre la possibilità agli artisti di fare gesti e azioni molto più vicini a noi». Tra i cambiamenti principali c’è l’ambientazione del primo atto e della seconda scena del secondo in un casinò di fine secolo, frequentato da cortigiane tra cui la bella Violetta, la protagonista. Sempre sulla scia di una maggiore attualizzazione e in vista di una maggiore comprensione del testo teatrale si sono pensati gli atti scenici, non come dei quadri slegati a sé stanti ma piuttosto come parte di un tutto. «Ho voluto rendere quest’opera più vicina a noi, spezzando gran parte della retorica dei gesti – conclude la Comencini – rendendo ogni azione credibile e umana. La musica da solo non fa l’opera, la drammaturgia è fondamentale per mettere in scena i sentimenti, ma la musica rimane comunque un limite all’attualizzazione: io mi spingo e oso fino a che la partitura me lo consente, senza nessun tipo di forzature».

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