CINEMA E TV
La “Samaritana” sui generis di Kim Ki-Duk
La Samaritana
Corea del Sud, 2004
Di Kim Ki-Duk
Con Kwak Ji-Min, Seo Min-Jeong, Lee Eol, Kwon Hyun-Min, Young Oh, Im Gyun-Ho, Lee Jong-Gil
Jae-yeong e Yeo-Jin sono due ragazzine unite da un legame inestinguibile e totale (anche fisico), proprio perché si completano a vicenda. Una è Vasumitra (prostituta indiana che trasformava chiunque venisse a letto con lei in un fervente buddista), l’altra è Samaria (la buona samaritana). Una persegue il precetto buddista di ricerca della felicità, l’altra subisce il senso di colpa cattolico trasmessogli dall’educazione paterna. La prima sorride alla vita, in qualunque circostanza; la seconda è astiosa, e per lo più piange. Jae-yeong si prostituisce, Yeo-Jin amministra, ma disapprova lo slancio vitalistico con cui l’amica si concede ai clienti. Una è lo yang, l’altra lo yin. Ma lo yin non può esistere senza yang. Così, quando Jae-yeong muore, sempre col sorriso sulle labbra, Yeo-Jin non ha altra scelta, se non quella di intraprendere lo stesso percorso dell’amica, ma “al rovescio”: andare a letto con gli stessi clienti e restituire a ciascuno la somma che avevano pagato. Un atto di carità nei confronti degli infelici. Una palingenesi, una rigenerazione purificatrice: l’unico modo per ritrovare il sorriso perso dell’amata. Dopo il successo riscosso anche in Italia da “Ferro 3”, la Mikado ha pensato bene di riscoprire Kim Ki-Duk, distribuendo (oddio, distribuire è una parola grossa, visto che mentre scrivo ci sono solo undici copie in tutto il Paese) anche la sua opera precedente, vincitrice dell’Orso d’argento al Festival di Berlino 2004. Ottima idea, anche perché chi ha amato “Ferro 3” ritroverà nella “Samaritana” le stesse suggestioni, la stessa essenzialità, la stessa abilità nel trattare tematiche forti e situazioni di violenza estrema con una levità e una semplicità sbalorditive.
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