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La salsiccia: la carne del “peccato”

Sono appena finiti i fasti della vita carnascialesca. Ripiombano con tutta la violenza i problemi nel mondo, pilotati inevitabilmente dai media, e gli scontri su privilegi, che non hanno più motivo di esistere, dato che le relazioni interpersonali si sono naturalmente evolute, riaffermando il proprio diritto di esistere. A noi, fra sensi di colpa indotti e intenti di ribellione, non resta che ricordare i fasti del giovedì grasso e la meravigliosa festa, a cui siamo stati invitati. Fra maschere e risate, una parte prioritaria, come sempre, era della convivialità. Un ricco banchetto era allestito nel salone attiguo a quello del ballo. Ricco di ogni ben di dio, brillava per una portata, che ha una tradizione millenaria: la salsiccia. Nota anche ai Romani, il nome significa carne a pezzi salata. Si produce in tutta Italia, ma devo dire, senza nulla togliere alle altre, che quella siciliana, secondo me, è la migliore. Meno dolce, più selvaggia, ha quell’aroma di finocchio e pepe, che la rende unica. E poi si presenta più appetitosa, rispetto alle sorelle tagliuzzate e ordinate in fila in vassoietti di polistirolo: rosea, lucente, lunga e liscia, un serpente che annoda le sue spire, placido e paziente. Ne abbiamo di due tipi: quella grossa, con i rocchetti più corti, è da fare al ragù; quella sottile, con i rocchetti lunghi, si cucina arrostita. Era la regina della tavola: si univa ai funghi e alla ricotta nella focaccia, preparata al forno con le patate, esaltava le penne con le melanzane. Questa è la cosa che mi ha esaltato. Purtroppo non solo me!

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La ricetta non è difficile. Basta fare appassire la cipolla, tagliata sottile, in un tegame con dell’olio extravergine e unire subito la salsiccia. Insaporire due minuti e versare il vino bianco, aumentando la fiamma. Poi aggiungere i tocchetti di melanzana, il peperoncino e lasciare cuocere per cinque minuti. Versare la salsa di pomodoro. Salare, pepare e coprire per venti minuti. Infine mettere l’aglio e lasciare cuocere per altri dieci minuti. Quindi bollire la pasta, scolarla bene e condirla, spolverizzando con una bella manciata di caciocavallo. La mia mamma, che ha una cucina più selvaggia, meno camurrusa e forse più tradizionale, prepara il sugo in modo diverso. In un tegame mette la salsiccia bucherellata, la fa schiumare, coprendola appena con l’acqua, per togliere il grasso in eccesso. Butta il liquido e sfuma con un po’ di vino bianco. Quando questo è evaporato aggiunge un bello poco di estratto sciolto in acqua calda, la salsa delle bottiglie e una foglia di alloro. Sala, pepa e copre il tutto per una trentina di minuti a fuoco moderato, rimescolando ogni tanto. “Deve cucinare da sé” come dice lei. Se è necessario fa stringere il sugo senza coperchio. Prepara la pasta e condisce. Sono ottimi i busiati, trugghi e callosi, che navigano in questo mare colore del sangue, con galleggianti di salsiccia e onde di caciocavallo o pecorino. Una delizia imparagonabile. Ma purtroppo bisogna dire addio alla carne (forse!), e limitarci a minestrine e verdure, per espiare i peccati della nostra limitatezza!

L’abbinamento
La nostra pietanza presenta a livello gustativo notevoli caratteri di complessità. Dopo il primo assaggio emerge, con netta predominanza, il sapore deciso ed intenso della salsiccia, le cui caratteristiche principali sono la grassezza e la succulenza. Quest’ultima viene notevolmente amplificata dal sugo su cui la nostra carne si trova irrimediabilmente immersa. Tale matrimonio rende il piatto più strutturato e contribuisce in maniera sensibile ad accrescerne la sua untuosità. La sintesi di tutti gli elementi suggerisce di abbinare un vino rosso secco e maturo, con un bouquet intenso e ricco di sentori di frutta rossa, morbido, caldo, abbastanza tannico, di corpo e dotato di una buona persistenza aromatica intensa. Tra le varie proposte disponibili in commercio il Nero d’Avola riserva prodotto nella Doc Delia Nivolelli sembra soddisfare le nostre pretese.

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