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La realtà del sacrificio di Cristo

  • 22 aprile 2004

La Passione di Cristo (The Passion of the Christ)
USA/ITA 2003
Di Mel Gibson
Con James Caviezel (Gesù), Maia Morgenstern (Maria), Monica Bellucci (Maria Maddalena), Rosalinda Celentano (Satana), Ivano Marescotti, Claudia Gerini, Sergio Rubini

Un film essenziale. Nessuno prima di Gibson aveva mai rappresentato in questo modo le ultime dodici ore di vita di Gesù. Nessuno aveva mai reso cinematograficamente la brutalità del martirio che dovette subire Cristo. E di questo ne è convinto anche René Girard, il maggior studioso del sacro e del sacrificio, che sul film ha detto: «La prima rappresentazione autenticamente realista, dunque scandalosa, della Passione». Il Time invece ha parlato di splatter art-film religioso ma Gibson, dopo dodici anni di ricerche e studi, si difende dicendo di non avere certo improvvisato. Il film è fedele ai Vangeli (e, aggiungerei, anche alle visioni della mistica tedesca, in attesa di beatificazione, Anne Catherine Emmerich) e anche il Papa, dopo averlo visto in anteprima a dicembre, ha detto «Così fu».

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Inoltre sulle famose 39 frustate che Gibson ha trasformato in 90 circa parla chiaro la Sacra Sindone (ormai riconosciuta scientificamente autentica): nei lenzuoli in cui venne avvolto Cristo non ci sono segni di pelle e ciò dimostra che la flagellazione non ne aveva lasciato alcun brandello sul suo corpo. Dopo il successo planetario del film, c’è chi afferma che dietro il progetto di Gibson non ci sia autentica fede ma solo sete di denaro. E’ ovvio che il regista australiano, terminata l’ultima ripresa, ha anche pensato ai soldi che avrebbe intascato o a quelli che avrebbe perso (i 30 milioni di dollari per produrre il film li ha sborsati tutti lui). Ma c’è una cosa che i più non sanno. Gibson dodici anni fa si era ridotto uno straccio e trascorreva le giornate tra droghe e alcol. Poi scoprì il sacrificio di Cristo e, pensando alle sofferenze che Gesù aveva patito per tutta l’umanità, si salvò rifugiandosi nella fede. Senza considerare il clima religioso che si respirava sul set di Matera: due messe in latino al giorno, Mel Gibson in versione chierichetto, attori che pregavano con Bibbia e rosario alla mano e un sacerdote (l’abate francese Michael De Burges) pronto a fare da consigliere spirituale di chi ne avesse bisogno. Ecco come nasce The Passion.

Riguardo l’accusa di antisemitismo rivolta al film c’è poco da dire. Se rappresentare la verità dei Vangeli significa essere antisemita allora probabilmente tutti i Cristiani sono antisemiti (compreso il Papa e il suo «Così fu»). Non c’è nessun tono antisemita nel mostrare il fariseo Caifa, che condanna a morte Cristo dopo aver fatto liberare Barabba, o la folla ebraica che inneggia alla crocifissione di Cristo. E’ storia. E The Passion non è un film sulla colpa, come molti lo hanno interpretato, ma un film sul sacrificio di Cristo, sulla fede, sulla speranza e sul perdono («…perdonali, perché non sanno quello che fanno»). Per togliere qualsiasi altro dubbio, il regista compie un atto simbolico importante all’interno del film: è sua la mano che inchioda Cristo alla croce. Con questa scena Gibson intende dire che lui ha ucciso Cristo: tutta l’umanità (rappresentata dal braccio del regista) ha ucciso Cristo. Ma solo per pochi giorni. Infatti, con la resurrezione la pellicola può chiudersi tra i meritati applausi del pubblico in lacrime. Nel complesso The Passion, anche se interamente recitato in aramaico, latino e (in parte) in ebraico con sottotitoli in italiano, non è un film pesante e gli attori (soprattutto  il bravissimo Gesù-Caviezel) hanno dato vita a personaggi credibili con interpretazioni davvero notevoli.

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