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La Divina Commedia secondo Sollima

  • 20 marzo 2005

Dodici brani, nove cantati e tre musicali. La Divina Commedia riecheggia tra le note di un grande compositore: Giovanni Sollima interprete della poetica dantesca. Un omaggio alla storia e alla cultura, un progetto che affonda le radici nel tempo e nella sperimentazione: “Works”, presentato a Milano nei giorni scorsi e prossimamente a Palermo, è l’ultimo album di un progetto nato nel 1999 con “Hell”, disco ispirato dalla grande metropoli di New York. Due le tappe palermitane per la tournée concertistica che il violoncellista dedica a “Songs from the Divine Comedy” ai Cantieri Culturali alla Zisa, il 24 marzo ed il 9 aprile (ore 21, ingresso 30/15 euro), e a margine della prima, appunto la presentazione palermitana del nuovo cd alla Corte Sammuzzo (via Sammuzzo 23, ore 23.30).

I brani tratti dai tre canti della Commedia, sei dall’Inferno, e tre dal Purgatorio e dal Paradiso, sono accomunati dal tema dell’esilio e arricchiti da alcuni passi scelti da “La Profezia di Dante” del drammaturgo Byron, il tutto nelle versioni della lingua dantesca e dell’inglese. Il disco è stato composto nel corso degli ultimi quattro anni con l’apporto delle diverse formazioni musicali che hanno accompagnato il violoncellista, ogni brano infatti testimonia le tracce del percorso creativo condotto dal 2000 a oggi. Affermato compositore sia in Italia che all’estero, accolto ovunque dagli applausi entusiasti del pubblico, Sollima si distingue nel panorama musicale per un’innata curiosità creativa che lo spinge ad esplorare nuove frontiere nel campo della composizione attraverso originali contaminazioni fra generi diversi. Riguardo alla propria poetica musicale dichiara di riconoscersi in un insieme di segni indistinguibili, antichi, non musicali «la musica si definisce nella sua vera forma sul palcoscenico, esplode. Il minimalismo mi ha consentito di soffermarmi, di rallentare o di ingrandire qualcosa e di percepirne la “grana”, una sorta di terapia; ne ho sentito l’esigenza proprio perché avevo (e credo di avere ancora) un temperamento opposto, sento due anime, e quella contemplativa o meditativa è presente tanto quanto l’altra...».

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Il suo segreto è quello di aver superato le barriere fra i generi musicali creando uno stile assolutamente nuovo che affonda le sue radici nella musica tradizionale del Mediterraneo, filtrata attraverso i nuovi linguaggi del rock (negli USA Justin Davidson, Premio Pulitzer per la Musicologia, lo ha definito “il Jimi Hendrix del violoncello”) e del minimalismo anglosassone (Philip Glass è fra i suoi più autorevoli estimatori). Avendo intrapreso da giovanissimo una brillante carriera concertistica, il musicista siciliano inizia a collaborare sin da subito con i grandi della scena musicale internazionale, quali Claudio Abbado, Giuseppe Sinopoli, Jorg Demus e Martha Argerich, su tutti i palcoscenici di un certo rilievo. Compositore di colonne sonore per registi come Bob Wilson (Prometeo), Alessandro Baricco (Iliade), Peter Stein (Medea), Marco Tullio Giordana (I cento passi, La meglio gioventù), Peter Greenaway (The Tulse Luper Suitcases), Franco Battiato (“Bitte Keine Reklame”, ) e coreografi della levatura di Carolyn Carlson e Karole Armitage, può annoverare tra i maggiori interpreti delle sue composizioni, dal 1992 eseguite in tutto il mondo, direttori come Riccardo Muti con la Filarmonica della Scala, Gidon Kremer con la Kremerata Baltica, Yuri Bashmet con I Solisti di Mosca; solisti come Yo-Yo Ma, Mario Brunello, Enrico Dindo, Bruno Canino, Julius Berger, David Geringas, Larry Coryell; interpreti vocali come Turi Ferro, Ruggero Raimondi e la popstar Elisa.

Ma il tratto essenziale che lo caratterizza più di tutti, come egli stesso afferma, è il rapporto speciale che nutre con lo strumento: «è la forma stessa (dello strumento), la possibilità di diventare viola o violino, di piangere, ridere, urlare... di viaggiare su e giù sulla tastiera oppure di fermarsi su una nota e concentrarsi su un dettaglio, sulla molecola dello stesso suono... È una sorta di strumento sonda, attraverso il quale indago su altre sonorità o parentele lontane con altri strumenti o vocalità.» Sollima, infatti, instaura una relazione quasi umana con il violoncello, sfiorandone le corde o aggredendolo come se si trattasse di una creatura riesce a coglierne un’ampiezza di suoni da trattare come materiale umano, interpretando ogni sfumatura tattile da un punto di vista mai distaccato e sensibile all’emozione.

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