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L'identità dell'Uomo secondo Sgarbi

Il tema è tra i più affascinanti del mondo dell’arte: la riflessione sull’Uomo, sul suo io profondo e sul suo ruolo sociale, sul confronto tra dimensione pubblica e privata

  • 22 gennaio 2004

É un percorso tutto isolano quello seguito dalla mostra “La ricerca dell’identità. Da Antonello a De Chirico”, ospitata all’Albergo delle Povere di Palermo (corso Calatafimi 217) fino al prossimo 29 febbraio (aperta da martedì a domenica dalle 10 alle 18.30). Sbarcata nel mese di novembre in Sicilia come uno degli eventi di punta delle manifestazioni per il venticinquennale dell’Assessorato Beni Culturali, era, infatti, già stata allestita al Castel San Michele di Cagliari la scorsa estate con il titolo Da Tiziano a De Chirico. A dire la verità, qualche pezzo, come il celebre Doppio ritratto di Giorgione, era stato esposto anche alla mostra “Da Tiziano a Caravaggio” a Tiepolo, organizzata tra il 2002e il 2003 alla Palazzina di caccia di Stupinigi (Torino), sempre “griffata” made in Vittorio Sgarbi, curatore anche della mostra-evento palermitana, a cui la città, desiderosa di iniziative culturali, sta rispondendo con grande partecipazione.

Il tema è tra i più affascinanti del mondo dell’arte: la riflessione sull’Uomo, sul suo io profondo e sul suo ruolo sociale, sul confronto tra dimensione pubblica e privata, condotta dallo sguardo dell’artista e fissato con maestria in pittura, scultura o nella grafica. Attraverso il ritratto, e seguendo l’evoluzione e i cambiamenti subiti dal genere nel corso dei secoli, è possibile, di pari passo, cogliere il mutare della concezione dell’Uomo stesso, visto di volta in volta come individuo, del quale vengono messi in evidenza i tratti psicologici – tramite l’intensità dello sguardo, la forza di un gesto, un incrinatura nel sorriso - o come portatore di un ruolo sociale e politico forte, evocato dalle insegne del potere, da costumi o oggetti spesso simbolici.

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È significativa, a questo proposito, la coppia di ritratti del pittore seicentesco Jacob Ferdinand Voet, che dipinse l’effigie del Cardinal Flavio Chigi in due versioni, la prima con la porpora dell’abito cardinalizio, lo sguardo distante, il volto girato di tre quarti, in posa ‘ufficiale’, e la seconda, invece, in una sontuosa vestaglia da camera, dove il protagonista del ritratto osserva occhi negli occhi lo spettatore, intessendo con lui un dialogo più privato, abolendo la ‘distanza’ che lo status di prelato gli impone. La galleria di ritratti e sculture che, di stanza in stanza, accompagnano il visitatore nel ricco percorso, offre allo sguardo una serie di capolavori molto noti: il già citato Doppio Ritratto di Giorgione, il Ritratto di Pietro Aretino di Tiziano, o, giungendo a tempi più vicini a noi, Donne con salamandra di Fausto Pirandello (1928-30) o il Ritratto di Antonino Santangelo del nostrano Renato Guttuso (1943).

E già nella prima sala, a dare il benvenuto a chi si accinge ad iniziare questo itinerario in sei secoli di arti visive, è una vera e propria ‘celebrità’ isolana, il Ritratto di ignoto di Antonello da Messina, proveniente dal Museo Mandralisca di Cefalù, scelto anche come ‘uomo immagine’ della mostra, con il suo sorriso enigmatico su cui si son spesi fiumi di inchiostro, dove si evince una capacità di indagine psicologica tra le più alte della storia dell’arte italiana. Rispetto alla mostra cagliaritana, sono circa ottanta le opere provenienti da collezioni siciliane, a partire dal sopracitato quadro di Antonello (e del maestro messinese si è appena aggiunta la controversa tavola Madonna col bambino ed Ecce Homo acquistata quest’estate dalla Regione Siciliana), e continuando con Santa Teresa in estasi, del Morazzone, La Malinconia di Domenico Fetti, il San Luca di Mattia Preti, provenienti dal Museo di Castel Ursino di Catania.

Dal Cinquecento al Novecento, non mancano tutti i principali ritrattisti dell’arte italiana: i cinquecenteschi Lorenzo Lotto e Giovan Battista Moroni, Palma il Giovane e i Carracci, fino a Sofonisba Anguissola (di cui segnaliamo un bellissimo Ritratto di cavaliere, 1558); nel Seicento la grandeur di stoffe e broccati, come nello splendido Ritratto del Cardinale Giulio Spinola (1668) si affianca alla sobria compostezza luministica e formale del Ritratto di compositore del Guercino, alle macabre evocazioni della vanitas e della morte nei teschi di Jacopo Ligozzi, e all’ufficialità dei  raffinati busti-ritratto marmorei di Gian Lorenzo Bernini. Presenti all’appello anche i più importanti ritrattisti del Settecento, dal Pitocchetto a Fra’ Galgario e a Rosalba Carriera, con una delicatissima figura di dama a pastello.

Proseguendo nella sezione Ottocento e in quella del primo Novecento, si alternano i vari linguaggi della pittura italiana, dal realismo di Mancini e Pellizza da Volpedo ai toni avanguardisti del futurista Boccioni, dai volti da maschere grottesche dell’espressionista Viani alle sospensioni silenti di Sironi o del De Chirico metafisico. Nell’ultima sezione, quella della contemporaneità, accanto a opere di pregio come i quadri dai toni vaporosi e poetici di Anton Zoran Music o il grande olio su tela con fili di lana  i Margherita Manzelli, per citarne alcune, si affollano una serie di autori rispondenti, forse, a una visione molto parziale del curatore, che poco rispecchiano, secondo chi scrive, le istanze di ricerca dei linguaggi di oggi. Infine, maggior cura si sarebbe dovuta mettere nell’illuminazione dei pezzi in mostra, la cui fruizione spesso risulta poco agevole a causa di ombre e riflessi.

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