TEATRO
La dura vita dell'attore indipendente: tra il palcoscenico e la giungla della burocrazia
Una riflessione sul mondo delle compagnie teatrali indipendenti palermitane, attraverso gli occhi dei moderni Don Chisciotte: la lotta quotidiana per vivere d'arte
Partendo dal presupposto che "teatro" sia dove siano presenti almeno un attore e uno spettatore, si parla quasi sempre di "luoghi" e non di "persone", dimenticando che esistono tante piccole realtà fatte di passione, studio e sacrificio in una città trasversale e fervente come Palermo.
Attori sul palco e al di fuori di esso, non valorizzati a sufficienza, che giocano un ruolo di primaria importanza per lo sviluppo culturale. O almeno dovrebbero.
C'è una zona d'ombra nella quale questi "animali da palcoscenico" sono costretti all'arte di arrangiarsi, parafrasando Luigi Zampa, in un disinteresse generale che coinvolge anche le istituzioni.
Le compagnie teatrali indipendenti non sono degli esseri aleatori e mitologici: sono dei Don Chisciotte che giornalmente lottano contro i mulini a vento, tentando di abbattere quel muro di indifferenza.
Così parla Salvino Calatabiano, attore, autore e burattinaio, creatore insieme a Vito Bartucca e Valentina Enea della Compagnia “Teatro degli Spiriti”, di casa al Piccolo Teatro Patafisico.
«Abbiamo dovuto lavorare e impegnarci tanto - prosegue Salvino - a volte anche in situazioni poco gradevoli, per riuscire ad essere un punto di riferimento nel teatro di figura in questa città e portare avanti, in parallelo, la nostra formazione artistica».
Situazioni poco gradevoli, «una realtà spinosa». Tralasciando gli eufemismi la definisce così Alberto Lanzafame, attore e performer con alle spalle diverse esperienze e studi tra Palermo e Roma in diverse compagnie indipendenti, fondamentalmente “senza padrone”.
«Della realtà spinosa a cui mi riferisco in genere si evita di parlare. È quella “dittatura del botteghino” che costringe spesso gli artisti a sposare ideali che non gli appartengono, cedendo a compromessi intellettuali in nome della “sopravvivenza”».
Alberto Lanzafame si riferisce, come Calatabiano, alla medesima burocrazia che tende ad ingabbiare la produzione teatrale in logiche che non le appartengono, che – spesso, ma non sempre – tagliano le gambe a tante voci che muoiono sul nascere, senza la possibilità di crescere nel tempo.
Un riferimento solo in parte economico, che non tralascia anche il pubblico, importante all’interno di questo quadro, che, non conoscendo la differenza fra teatro e "spettacolo" inteso come intrattenimento ha perso capacità di critica, non dialoga spesso con gli attori, subisce delle scelte obbligate, imposte dall’alto.
Citando il sociologo Dwight MacDonald, Lanzafame fa riferimento alla cosiddetta Midcult. «Esistono una cultura “alta”, elitaria, e una cultura “bassa”, quella popolare».
«Ma esiste anche questa cultura “di mezzo” che sfrutta gli aspetti caratterizzanti la prima, mettendoli al servizio dell'acclamazione di massa. In poche parole, li volgarizza».
L’esempio è calzante, in effetti, e non ha a che fare soltanto con il teatro, ma con la maggior parte delle forme d’arte. Se il pubblico non viene educato, se non conosce, non potrà mai distinguere lo spettacolo dal mero intrattenimento. I due hanno perso i contorni, confondendosi.
Se da un lato le istituzioni si mettono a disposizione del teatro, dall’altro non lo fanno nella maniera giusta. Se da un lato le compagnie vogliono rimanere indipendenti, dall’altro dovrebbero cedere a compromessi, per continuare a vivere.
L’attore vuole indipendenza, ma ha bisogno anche dell’aiuto delle istituzioni per crescere. Se necessita di fondi, allo stesso tempo sente l’esigenza di rimanere estraneo alle logiche del “salotto”. Un allucinante paradosso.
In ultima analisi, secondo Alberto Lanzafame le soluzioni esistono. Intanto affidarsi ai privati, avendo dunque i mezzi per proseguire l’attività della compagnia.
E in secondo luogo fare squadra, ognuno per sé, certamente, ma collaborando a un obiettivo comune.
Cos’altro? «Quando mi chiedono cosa mi manca del mio lavoro non rispondo mai», riflette Salvino Calatabiano, «ma penso che un po’ di serenità non guasterebbe. Nessun aumento di fondi, nessun finanziamento a pioggia, solo una sana e radicale soppressione degli acronimi burocratici».
«In ogni caso la favola continuerà, nonostante le difficoltà».
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