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Intervista ai Cut: una “Bare Bones” band

Ferruccio Quercetti: «Credo che tutti i nostri dischi siano legati a un unico filo conduttore, il rock, perché non è mai morto e continua ancora oggi a vivere»

  • 4 gennaio 2004

In questo momento i Cut sono molto impegnati. La band bolognese ha iniziato il 26 dicembre il tour italiano di promozione della loro ultima fatica, “Bare Bones”. Tuttavia Ferruccio Quercetti, uno dei due chitarristi e cantanti del gruppo, è sempre disponibile per fare quattro chiacchiere in occasione della tappa palermitana che si è consumata sabato 3 gennaio all’Ex Carcere.

Allora, cominciamo con una domanda che vi avranno fatto mille volte: perché avete scelto il titolo “Bare Bones”? Riflette le vicissitudini della band o un nuovo stile musicale?
«Fondamentalmente si tratta di un titolo autoreferenziale e direi che riflette entrambe le cose. Innanzitutto riguarda la situazione in cui ci eravamo trovati al momento di entrare in studio, in quanto la formazione del gruppo era mutata parecchio nel corso degli anni. La nostra storia  è stata molto complessa: siamo partiti addirittura in sei nel primo demo, poi ci sono stati parecchi cambi di elementi, e alla fine, prima della registrazione dell’ultimo album ci siamo ritrovati in tre (ride). Siamo rimasti io e l’altro chitarrista Carlo (Masu ndr), i membri fondatori del gruppo, e il batterista. Quindi ci sembrava appropriato chiamare questo disco “Bare Bones”, che in inglese vuol dire essere “ridotti all’osso”, al minimo indispensabile. Del resto questa frase possiamo applicarla un po’ a tutta la nostra storia, perché siamo da sempre un gruppo underground che ha dovuto cavarsela con un “bare bones budget”. Musicalmente parlando invece la formazione a tre ci ha portato a raggiungere il cuore del nostro suono, divenuto molto più essenziale e asciutto».

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Cosa è cambiato musicalmente in “Bare Bones” rispetto al vostro precedente album “Will u die 4 me?” di ormai due anni fa?
«Credo che tutti i nostri dischi siano legati a un unico filo conduttore che è quello di riprendere il rock, anzi sarebbe meglio dire “interpretare il rock”, perché il genere non è mai morto e continua ancora oggi a svilupparsi in varie forme più o meno contaminate con altri stili musicali o con altri sistemi per esprimerlo. Detto ciò, in questo album la formazione a tre con l’aggiunta di Cristina (Negrini ndr), che canta con noi dal vivo e anche in alcuni brani del disco, ha comportato un processo di composizione diverso dal solito. I brani li abbiamo quasi sempre realizzati in sala prove tirando fuori ognuno di noi delle idee e arrivando attraverso un lavoro di limatura alla forma definitiva (anche se in realtà non esiste mai una vera “forma definitiva”, perché continuiamo a elaborare i pezzi anche quando li suoniamo dal vivo). Si suonava tutti insieme e il testo nasceva sul momento spontaneamente. Si è sentito meno rispetto a  prima il lavoro di un cantante che scriveva i testi a casa e poi li proponeva al gruppo».

Cosa ne pensate dell’attuale panorama musicale? Alcuni gruppi come gli Strokes stanno riscoprendo il rock, mentre voi avete cominciato a suonare questo genere quando era “fuori moda”…
«Come ti ho già detto, il rock’n’roll non è mai morto: ha continuato ad esistere con alterne fortune dagli anni ’50 ad oggi. Poi ovviamente viviamo in un mondo che è regolato da leggi di mercato, che ogni tanto ripropongono dei fenomeni a seconda di quello che l’industria musicale, più che il pubblico in senso stretto, sembra richiedere. Sicuramente in questo momento ci sono gruppi molto validi, come ad esempio gli Hives, i White Stripes, i Kills, ma forse è tutto quello che c’è attorno che è un po’ esagerato. Mi fa piacere che gruppi che apprezzo stiano adesso avendo un buon riscontro, però questa non è una cosa che ci cambia la vita e che influenzerà più di tanto il nostro modo di essere. Noi non siamo stati né favoriti né svantaggiati da tutto questo parlare di nuovo rock’n’roll. Avevamo già questo suono più o meno cinque, sei anni fa. All’epoca tutti ci dicevano che la cosa più innovativa al momento era il post rock o l’elettronica e quindi ci trattavano come un gruppo tradizionalista. Non ci riconosciamo né in quel tipo di scena, né in quella attuale, abbiamo un sound che non è mai stato completamente tradizionalista né futuristico. Abbiamo sempre continuato il nostro percorso: le nostre radici sono profonde e vengono dalla new-wave di fine anni’70, dal punk rock, così come dal garage dei Sonics e di gruppi del genere. Siamo una band che cerca di incorporare nel proprio suono quello che è successo nella storia del rock dalle origini fino a oggi».

So che per voi la dimensione live è molto importante…
«Siamo sempre molto contenti di venire a suonare al Sud, perché abbiamo trovato ogni volta un’accoglienza eccezionale, delle persone simpaticissime, competenti, appassionate che dimostravano, oltre al solito calore mediterraneo di cui si parla sempre, anche di conoscere quello che venivano ad ascoltare. Già per l’occasione di “Will u die 4 me?” abbiamo fatto un tour che ha toccato anche Palermo, e siamo molto felici di ripetere quest’esperienza. Per quanto riguarda la data del 3 gennaio, daremo il massimo come sempre facciamo dal vivo. Per noi è un rito quasi sacro quello del concerto e cerchiamo di onorarlo dando il meglio. Sorprese? Oltre la presenza di Cristina (Negrini), non saprei dirti… ogni concerto è un evento a sé, quindi…»

…Quindi dipende anche dal pubblico?
«Esatto. Forse la cosa più bella legata a fare musica è proprio quella di poter suonare dal vivo anche per via di quella componente di sorpresa che trovi dovunque vai. Nel 99 per cento dei casi la sorpresa è positiva e ti lascia sempre un buon ricordo. Quindi ci auguriamo anche questa volta che sia noi che il pubblico palermitano faremo sì che questa sia una serata da ricordare».  

Finito il “Bare Bones tour” che altri progetti avete?
«Stiamo programmando un tour europeo per la primavera. Sarà la prima volta che realizzeremo una vera e propria tournée fuori dall’Italia in maniera organizzata, perché prima abbiamo fatto solo delle esibizioni sporadiche: un minitour in Belgio, alcune date in Slovenia e Croazia. Questa sarà anche l’occasione per stringere contatti con etichette estere che sembrano intenzionate a distribuire i nostri dischi fuori dalla Penisola. Dopo tanti anni ci sembra giunto il momento di portare la nostra musica fuori dai confini nazionali. E’ la prima volta che lo facciamo in maniera sistematica e speriamo che la cosa ci porti fortuna. Poi uscirà una compilation di tributo ai Red Red Meat, gruppo americano di inizio anni ’90, alla quale partecipano grandi nomi come Mark Lanegan, Calexico, Flaming Lips. Noi siamo l’unico gruppo italiano presente in questa compilation, che uscirà per la Unhip Record entro l’estate 2004, e questo ci onora molto».

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