MUSICA
Intervista a Marta sui tubi
E proprio con la voce del gruppo, Giovanni Gulino, abbiamo chiacchierato un po’ in occasione del concerto del 30 dicembre all’Agricantus di Palermo
I Marta sui tubi sono la dimostrazione vivente che una buona dose di talento tanta originalità possono bastare per trasformare un’ambizione in qualcosa di concreto, nonostante la struttura minima del duo: solo chitarra e voce. E proprio con la voce del gruppo, Giovanni Gulino, abbiamo chiacchierato un po’ in occasione del concerto del 30 dicembre all’Agricantus di Palermo.
Cominciamo dalla vostra storia, come nasce il progetto Marta sui tubi?
«Con Carmelo (il chitarrista ndr) ci conoscevamo già da parecchio, avevamo amicizie comuni tra i gruppetti musicali di Marsala, dal momento che entrambi eravamo già inseriti nell’ambiente, poi dopo qualche jam occasionale e qualche suonatina in spiaggia ci siamo scambiati i demo, io gliene passai 2 uno completamente acustico e uno elettronico realizzato al computer . Casualmente lui aveva in progetto di andare a vivere a Bologna, dove io vivevo già da un anno e così ci siamo trovati lì e abbiamo cominciato a suonare per i locali. Siamo piaciuti subito alla gente ad alcuni gestori di locali, che ci hanno procurato via via gli ingaggi».
«Non so… non siamo saliti a Bologna con l’idea di far crescere il progetto, è stato un caso. La città non ci ha influenzato dal punto di vista della composizione dei testi, passavamo il tempo per lo più chiusi in casa al caldo mentre fuori nevicava, quindi il fatto di essere lontani da casa non ha cambiato molto. Sicuramente però partire da Bologna ci ha dato la possibilità di generare un’eco maggiore rispetto alla nostra dimensione isolana».
State ottenendo tantissime critiche favorevoli, ve l’aspettavate?
«Sinceramente no. Sai, quando scrivi una canzone è come se facessi un figlio, per cui pensi che sia la cosa più bella che ti sia riuscita e ci credi veramente. Ma l’orecchio degli altri è sicuramente più obiettivo di me che sono troppo vicino per vedere bene. E allora il fatto che ci sia questa unanimità di consensi non solo nella critica specializzata nel settore della musica alternativa, ma anche da quella di più larga veduta, non può che riempirci di orgoglio».
Il vostro è uno stile molto particolare, vengono in mente citazioni illustri, da Capossela a Jeff Buckley. Ma come nasce l’idea di fare questo tipo di musica?
«E’ una cosa assolutamente spontanea, non ci siamo prefissati di fare un genere preciso. Mi piace Buckley, Syd Barret e la New Wave dei primi anni 80, ma questo tipo di influenze sono confluite nella composizione a un livello che definirei inconscio. Sono cose che ti porti dentro».
Parliamo del vostro primo cd “Muscoli e dei”, come lo vedi in generale?
«Per me è un gran bel lavoro (sempre l’handicap dell’obbiettività…), ma è “scarno”, noi siamo entrati in sala di registrazione solo con una chitarra e la voglia di fissare le nostre canzoni in un cd, senza alcun contratto discografico, per questo mi sorprende che la gente, abituata a cose più complete e meno spigolose, lo abbia apprezzato».
Il fatto che siete solo in due è per te un fattore riduttivo o al contrario un punto di forza?
«Sicuramente con questa veste hai più libertà di movimento, puoi toccare diversi stili, mantenendo un’identità di fondo basata essenzialmente sul tocco acustico e l’assenza di suoni elettronici. E’ una cosa molto pura, chiunque potrebbe farlo, come a un falò in spiaggia, quando ti capita di suonare Battisti e poi fai un reef dei Led Zeppelin».
Visto che siamo all’inizio dell’anno… un bilancio del 2003 e un’aspettativa per il 2004.
«Beh… abbiamo cominciato il 2003 senza il disco! Lo abbiamo registrato in febbraio, ci siamo sbattuti in giro per proporlo alla gente, abbiamo ottenuto un contratto discografico e da ottobre, quando è stato prodotto il cd, è un susseguirsi di interviste e recensioni. Un bilancio più che positivo! Per l’anno che viene ci aspettiamo il meglio, continueremo a esprimerci artisticamente a suonare in giro. L’idea, chiaramente, è quella di vivere di musica».
L’ultima domanda…ma perché “Marta sui tubi”?
«E’ una vecchia storia, in breve io e Carmelo stavamo con la stessa ragazza (Marta) senza saperlo. Così un giorno abbiamo avuto uno “scontro di idee” in un cantiere abbandonato pieno di tubi. E così qualche tempo dopo, ripensando a quel giorno, abbiamo deciso per questo nome».
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