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“Il Verbale”, resoconto di una vita di confine

  • 6 settembre 2005

Jean-Marie Gustave Le Clézio, nato a Nizza nel 1940, è un protagonista assoluto della scena letteraria francese contemporanea. Autore colto, di grande vitalità (romanziere, narratore, saggista), si è formato nel periodo del noveau roman francese. Con il suo suo primo romanzo, “Il Verbale” ( :duepunti edizioni, 2005, euro 12 ), pubblicato a 23 anni, ha vinto il prestigioso premio francese Renaudot e da allora ha firmato diversi libri (oltre quaranta titoli in Francia, fra saggi, romanzi, racconti brevi e traduzioni), diventando uno dei più noti autori francesi contemporanei. Le sue origini meticce, bretoni, britanniche e mauriziane, legano la sua opera all'idea dell’incontro di culture e del viaggio come condizione esistenziale.

La storia si dipana sul filo di una scrittura intensa, impreziosita da soluzioni linguistiche e formali spesso ardite ma sempre estremamente eleganti. Percettibilmente descrittivo, a tratti fino all’ossessione, “Il Verbale” registra scene di vita quotidiana di Adam Pollo, protagonista assoluto nel romanzo in quanto nuovo primo uomo che, chiudendo la porta al suo passato, decide di immettersi nella strada dell'abbandono mentale, nel tentativo di sopravvivere alle tanto necessarie quanto ingombranti convenzioni della società consumistica contemporanea. E´questo l’unico modo di vivere per contrastare i condizionamenti cui l’uomo comune è sottoposto giorno dopo giorno, ”goccia dopo goccia”, alternando, senza un ordine preciso, momenti di totale isolamento ad altri tesi a rompere schemi preordinati. Dopo aver “preso” dimora in una villa disabitata dell’assolata Costa Azzurra, bruciata dal sole e gremita di turisti, il protagonista si abbandona alla solitudine delle folle della città e divaga, e «parla....anche se non ha niente da dire, per imparare ad essere uomo». Fin dall’inizio il lettore respira quel profondo senso di alienazione, estraniazione che porterà Adam a riconoscersi sempre meno nel suo quotidiano, ed a rifiutare i bisogni indotti della società contemporanea: dall'insolito incontro con una leonessa allo zoo, nel tentativo di “assimilarsi” alla specie felina, all'immersione nelle luci e nella folla di un grande magazzino, seguendo un cane amico conosciuto per strada.

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In questo scenario gli eventi sembrano precipitare al nascere di una storia d'amore inquieta (Michéle), ultimo tangibile legame con il mondo “normale”. Attraverso immersioni ed analisi puntigliose delle situazioni in cui si ritrova, il protagonista constata la presenza allo stesso tempo di ciò che definisce il movimento materiale - «...le masse grigie delle macchine formano una catena sullo sfondo del paesaggio ...gli alberi sono perfettamente immobili, come fossero finti» - e quello animale - «...lungo il marciapiede....i pedoni camminano, le braccia oscillano, si agitano, le gambe si tendono, ricevono il peso del corpo......le bocche respirano,...i colori si animano...», entrando in una sorta di transfert con il mondo animale e vegetale. Ed è proprio questo l'unico mondo che “l'alieno” sembra accettare, disertore dell'esercito ma anche della società, delirante nelle sue elucubrazioni mentali, descrittivo e martellante. La lettura procede a tratti, in un alternarsi di azione e stasi, tra le vicende in cui il protagonista si imbatte e la lentezza e immobilità del suo quotidiano. A poco valgono anche i tentativi di Michéle di riportare una qualche forma di dialogo su un piano terreno: «Penso che tu perda tempo dietro a cose insignificanti...ti disperdi.......hai paura di tutto ciò che è sentimentale». Ma allora Adam è matto da legare? Nasconde qualche mistero non risolto questo laconico verbale? Più che un mistero forse un dubbio, anche abbastanza classico e comune, spesso celato e a volte, come succede al nostro personaggio, urlato più a gesti che con voce sicura: cercare di comprendere cosa possa essere ritenuto normale, identificare il confine tra la follia e il lecito, tra il proibito e il concesso.

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