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"Il sole", il Dio che volle farsi uomo

  • 28 novembre 2005

Il sole (Soinze – The Sun)
Russia/ Italia/ Francia/ Svizzera, 2005
Di Aleksandr Sokurov
Con Issey Ogata, Robert Dawson, Kaori Momoi

Sappiatelo: Aleksandr Sokurov è uno dei più grandi cineasti di oggi, un campione di stile che appartiene all’eletta schiera dei Tarkovskij e dei Kieslowski (entrambi, purtroppo scomparsi) e che, insieme a Takeshi Kitano e a pochi altri, costituisce il punto di riferimento per coloro i quali credono ancora nel cinema d’autore. Nato a Podorvikha, un piccolo villaggio in Russia, nel 1951, Sokurov è un regista “alto”, ancorato a schemi estetici classici, che però si è lasciato subito tentare dall’irresistibile leggerezza del cinema elettronico. I suoi numerosi docufilm, poetici frammenti della realtà lacerata della sua amata/odiata madre Russia, testimoniano di una incredibile sensibilità artistica in grado di restituire la dimensione umana della Storia. Il suo primo lungometraggio, “La voce solitaria dell’uomo”, fu il grande Tarkovskij a produrglielo, nel 1978. Famose (soprattutto grazie ai festival e al Ghezzi di “Fuori Orario”) sono le sue “Elegie”, dedicate a musicisti, politici, uomini di cultura e di spettacolo (quella “di Mosca” è uno straordinario ritratto del suo mentore Tarkovskij). Il suo film più diffuso è sicuramente “Arca Russa”, un piano – sequenza infinito che diviene un viaggio artistico- teatrale nella Russia del XVIII secolo, interamente ambientato nelle stanze del celeberrimo Museo Hermitage di San Pietroburgo.

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Questo “Il sole”, capolavoro presentato all’ultimo festival di Berlino e realizzato con Rai Cinema, l’Istituto Luce distributore e il direttore della Mostra di Venezia Marco Muller, è il terzo capitolo di una tetralogia dedicata ai dittatori del XX secolo (sarà Mussolini il prossimo?) che ha come precedenti “Moloch” (con un grottesco Hitler incalzato, nel corso di un fine settimana al suo castello- rifugio, da una incontenibile Eva Braun) e “Taurus” (ritratto di un Lenin sconfitto che tenta di resistere alla sua malattia fatale). Protagonista de “Il sole” è l’Imperatore giapponese Hirohito, interpretato da un sublime attore, Issey Ogata, famoso in patria come comico alla Beppe Grillo. A Hirohito, venerato come una divinità, infantile come un Ultimo Imperatore che si rispetti, pur essendo l’intoccabile 124° discendente della Dea Sole Amaterasu, toccò soffrire per il conflitto lacerante che portò alla sconfitta il suo paese. Parliamo, ovviamente, della Seconda Guerra Mondiale, e l’azione del film si svolge dal 15 agosto 1945 al primo gennaio 1946. Prigioniero delle sue manie, circondato da un paesaggio nebbioso e plumbeo che rimanda a quello dell’hitleriano week-end di “Moloch”, l’Imperatore, che si vide costretto ad annunciare per radio la sconfitta del suo popolo, dopo Hiroshima e Nagasaki, trascorre il suo tempo come un esule volontario (simile a Ludwig di Baviera ma meno autodistruttivo!) studiando idrobiologia e sfogliando le foto delle star di quel tempo, le Jean Harlow e le Mae West, gli Humphrey Bogart e i Charlie Chaplin a cui avrebbe (forse) voluto assomigliare.

Piccolo di statura e sconvolto da tic nervosi, lo vediamo impegnarsi in un accenno di balletto, come fosse l’Hynkel Grande Dittatore dell’amato suo Charlot. Sokurov individua due episodi centrali e giocoforza emblematici: i giorni della resa, quando Hirohito fa interrompere le azioni militari per concedere la vittoria del nemico (memorabile l’incontro tra lui e il generale MacArthur, interpretato qui da un bravissimo Robert Dawson, che nella realtà definì l’Imperatore “fragile come un bambino”) e le ore in cui egli decide di rinunciare al proprio status di divinità, forse anche per sentirsi un po’ più libero di soffrire, come un essere umano qualsiasi. Ma più che il dato storico, il regista s’impegna a svelare una condizione esistenziale, rendendola però fantasmatica come un gioco d’ombre, alludendo continuamente alla morte delle cose e degli uomini, in quel teatro di vanità che è la vita. Lo sguardo ora disilluso e malinconico, ora assente e distaccato dell’Imperatore che osserva dall’alto l’affanno di chi, nel suo popolo, si ostina a combattere fino allo sfinimento una guerra persa, è un simbolo forte che ci ammonisce sulla ragione assurda che ha governato e continua a governare gli eventi e gli avvenimenti che riguardano gli umani. Allo spettatore è concesso un altro frammento di “elegia”: la scena (immaginaria, forse) dell’incontro tra Hirohito e la moglie (la ieratica attrice Kaori Momoi), quando lui colmo d’attenzioni le recita i delicati versi di una sua composizione. Così capiamo che con “Il sole”, Sokurov ci parla di un mondo parallelo, di una Storia possibile, di uomini che fingono d’essere, non sono e avrebbero davvero potuto diventare degli Dei.

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