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Il “Ritorno” di Lia Chiappara

Un cast palermitano per cantare il dolore del Sud nella produzione del Teatro Libero di Palermo

  • 7 giugno 2007

Un ritorno a casa, un viaggio verso le origini, nella terra natia, in una Sicilia dalle mille suggestioni e dalle mille luci. Un viaggio verso sè stessi, alla ricerca delle proprie radici. Questo è “Ritorno”, diretto e ideato da Lia Chiappara, andato in scena al teatro Libero di Palermo dal 16 al 20 maggio a conclusione del cartellone serale della stagione invernale. Si tratta di un progetto complesso che trae libera ispirazione dal romanzo di Stefano D’Arrigo “Horcynus Orca” e trova la propria forza nella passione della regista e del cast interamente palermitano: un gruppo cresciuto all’interno del Libero e capace ora di emozionare il suo pubblico e la sua città. In scena Santi Cicardo, Marcella Colaianni, Patrizia D’Antona, Salvo Dolce, Simonetta Goezi (l’unica palermitana d’adozione), Francesco Gulizzi, Federica Marullo e Giuseppe Sciascia. Tutti, da meridionali, hanno saputo perfettamente trasmettere il fascino e soprattutto la passione della gente del Sud. È questa infatti la vera protagonista dello spettacolo: la voluntas, l’energia di chi vive al Sud. È sì la forza della sofferenza di chi compie il proprio “ritorno”, di chi cerca il sud perché comunque non può farne a meno, ma anche di chi vive quel disagio umano ed esistenziale tipico dei luoghi del meridione del mondo.
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La regista, nel rappresentare questo “ritorno”, ha voluto mettere molto di autobiografico. «Ho sempre avuto un rapporto di odio-amore con questa terra – ci dice Lia Chiappara – ho cercato di trovare altrove quello che non trovavo qui ma più mi allontanavo e più si insinuava in me il bisogno di vivere ciò da cui fuggivo». Da qui, da un percorso interiore ricco di difficoltà e lacerazioni, è nata la voglia di rappresentare ed esprimere, mediante il linguaggio teatrale, il bisogno di ritornare alla “sicilianità”. «Nonostante io sia fra quelli che hanno compiuto il proprio “ritorno”, – continua ancora la regista – il mio giudizio sulla Sicilia è rimasto lo stesso: è una terra magica che emana qualcosa di indescrivibile dai propri suoni, attraverso odori e colori, tramite la sua umanità straordinaria, ma è una terra nella quale rimane ancora tanto di irrisolto…giovani che rinunciano al cambiamento, che si spengono di fronte alle difficoltà». Il canto di questo disagio, la narrazione della voglia di “ritorno”, vuole essere un modo per provare a rinnovare l’impegno a non fuggire, l’impegno per non limitarsi al compianto. Così prendono corpo i personaggi dello spettacolo che, pur se tra le macerie e la fame, sono carichi di una grande vitalità che non si lascia piegare dal dolore: le donne, che continuano a muoversi nella luce di uno spazio scenico chiaro ed essenziale dominato dalla presenza delle colonne greche, la traghettatrice, che accompagna il protagonista verso la meta difendendolo dalle “fere”, mostri marini che minacciano gli isolani, ed infine il padre ritrovato nel paese natale, piccola luce che brilla nel buio di una notte che sta per volgere al termine.
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