ATTUALITÀ
Il "no" dello chef Natale Giunta al racket delle estorsioni
La denuncia dello chef termitano ha portato all'arresto dei suoi quattro aguzzini. Ma cosa è cambiato dalla morte di Libero Grassi in venti anni di antimafia?
Non denunciare un'estorsione ad opera di malavitosi significa accettare un compromesso perdente, essere conniventi con un sistema di malaffare che è stato ed è capace di fagocitare la società civile circostante a tal punto da condizionarla, rassegnarsi all'evidenza dello "stato delle cose" per paura di perdere i frutti del proprio duro lavoro. Ma cosa rende serio e rispettabile un imprenditore? La capacità di creare un business virtuoso, capace di autosostenersi e di sostenere le persone coinvolte? Anche, ma a volte non basta.
Ai giorni nostri, si legge di Natale Giunta, chef termitano che ha deciso di denunciare i suoi estorsori dando il via alle indagini che hanno condotto all'arresto di quattro uomini. Tali malavitosi andarono a fare visita nel locale del "maestro dei fornelli", reo di aver aperto la propria attività senza chiedere il via libera alle cosche della zona. La richiesta fatta era quella di versare circa 4 mila euro, in due "comode rate", una a Natale ed una a Pasqua, così da poter sostentare le famiglie dei detenuti. Questa prima visita sarebbe stata fatta senza avvertimenti o danneggiamenti di sorta.
Vedendosi negare la richiesta per problemi economici, gli aguzzini avrebbero dato inizio ad un'escalation di minacce ed avvertimenti. Prima un pizzino dove si invitava Giunta ad adeguarsi senza coinvolgere le forze dell'ordine. Poi i danneggiamenti al locale in due episodi diversi e, per concludere, il ritrovamento di una tanica di benzina di fronte all'attività commerciale. «Mi sento un po' scosso al momento e, ad un anno delle indagini, non pensavo che saremmo arrivati a questo punto - spiega Giunta - Continuerò a fare il mio mestiere. Mi sento solo più forte di prima. La mia è stata una scelta sana, la stessa che dovrebbero fare tutti gli imprenditori. Ho fatto solo il mio dovere».
Nel tessuto siciliano, le storie di mafia e le estorsioni si son sempre fatte strade con discreta facilità, muovendosi nel buio fitto dell'illegalità, della reticenza e dell'omertà, tanto da portare alla ribalta le storie di coloro che invece hanno deciso di ribellarsi. Libero Grassi, imprenditore catanese trucidato nel '91, pioniere siciliano dell'antimafia, scrisse una nota lettera che fu pubblicata il 10 gennaio 1991 sul Giornale di Sicilia.
"Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo". Come finì la sua storia, purtroppo, lo sappiamo bene, ma il suo gesto non fu d'esempio per tutti, riuscendo però a far scoccare la scintilla nella società civile quale incipit della stagione dell'antimafia. Ma da allora ad oggi, cosa è cambiato?
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