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Il coniglio alla cacciatora in una memoria d'altri tempi

“Papà, stavolta posso venire con voi?” Questa era la richiesta che ‘Gnazzino, detto Scazzitella, alla tenera età di sette anni, rivolgeva a suo padre. “Lo sai che tua madre non vuole, perché si spaventa. Se decidiamo che potrai venire, devi promettere che sarai buono e non ti allontanerai”. “Neanche per prendere il coniglio?” “Assolutamente no! Ci pensa Don Ciccio.” A ‘Gnazzino fu accordato il permesso di seguire la battuta di caccia. 'U picciriddo, l’ultimo di quattro figli maschi, aspettava con ansia l’arrivo dell’autunno, anche se questo avrebbe segnato la fine delle vacanze e “'U Signuruzzu sulu u sapi quantu mi pesava tornare a scuola!

Partirono la mattina del sabato. La spedizione era composta da Don Ciccio, il campiere, dall’Avvocato, il capo-famiglia, dal Signor Nanni, amico di vecchia data, da Nenè e Cocò, i fratelli più grandi di ‘Gnazzino che, a turno, lo avrebbero tenuto d’occhio e naturalmente da un branco di cani, due di mannara e due setter. Era deciso che la prima notte sarebbero stati ospitati dal fratello di Nanni, in Contrada Tumminia. La domenica mattina sarebbero partiti, in compagnia del Signorino Salvo e di Padre Carmelo, detto vucca china, per l’appetito degno di un cardinale!

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Il programma fu rispettato. La carovana partì all’alba con la benedizione di tutti. ‘Gnazzino era emozionatissimo, non aveva chiuso occhio e non dava nessun segno di stanchezza. A cavallo del suo puledrino si sentiva un gigante e salutava tutti i contadini e i passanti facendosi notare. La vista del primo coniglio lo esaltò. “Papà l’ho visto anch’io!” Uno sparo di Nanni e la preda fu colpita. “Papà posso andare a prenderlo?” “Vabbene, segui Don Ciccio, e impara!”

‘Gnazzino trovò la preda vicino a un sasso ai piedi di un grosso gelso. “Questa, tienila tu, legala al cavallo e appena arriviamo da Donna Rosalia, la dai a Donna Fina, che lo prepara” disse l’Avvocato. A ora di pranzo raggiunsero la tenuta di Rosalia Valchiara, figlia del più importante proprietario terriero della zona. La cuoca di famiglia, Donna Fina, ex balia, era maestra nel preparare la selvaggina e rivaleggiava con sua sorella, Donna Cetta, cuoca della famiglia Campisi. Stessa famiglia due modi di cucinare la medesima pietanza. La prima sosteneva che il "vero" coniglio alla cacciatora fosse con le erbe e qualche pomodoro, la seconda che fosse quello con sedano, capperi e olive, pomodoro e cipolla comunemente detto “apparecchiato”.

Nenti cci voli. Nu pocu ri erbi!” e dava sempre la stessa ricetta, che Donna Rosalia si preoccupava di tradurre per gli ospiti continentali. “Donna Fina sostiene che bastano gli aromi a rendere morbido e saporito il coniglio. Lo soffrigge con olio, aglio, alloro, salvia, rosmarino. Appena la carne è dorata aggiunge qualche pomodoro, basilico e un po’ di origano. Lascia cuocere con il coperchio a fuoco medio, unendo qualche bicchiere d’acqua se si asciuga. Ma, secondo me, ci mette qualcos’altro. Purtroppo non vuole nessuno nel suo regno e non sapremo mai la verità”.

Di pomeriggio a ‘Gnazzino venne affidato un compito importantissimo: sbirciare la vecchia cuoca, che stravedeva pi iddu, e scoprire il suo segreto. ‘Gnazzino fu accolto con un sorriso, fu assettato su una grande sedia di legno e coccolato con pane di paese e salame di cinghiale. A cena tutti chiesero quale fosse l’ingrediente speciale. ‘Gnazzino non sapeva cosa dire, si era addormentato sul tavolo. Ricordava solo un forte odore di aceto, utilizzato probabilmente per smorzare il sapore selvatico.
Oggi ‘Gnazzino ha 94 anni, è un vecchietto arzillo, con gli occhi velati e una memoria di ferro, pronto a raccontare le sue storie a quanti, con fare rispettoso, gli chiedono notizie sui tempi passati.

L’abbinamento

Come tutti gli alimenti, anche la carne ha un elemento gustativo che la contraddistingue. Il suo carattere principale è la succulenza e in secondo grado la tendenza dolce, caratteristica più o meno percepibile a seconda del tipo carne di cui si tratta.
Nell’ambito della selvaggina, il fattore organolettico maggiormente interessante è senza dubbio la forte e intensa aromaticità, legata sia al tipo di carne, ma anche e soprattutto al tipo di preparazione, che normalmente prevede l’aggiunta di numerose erbe aromatiche.

Per il coniglio alla cacciatora dobbiamo necessariamente scomodare grandi vini rossi, dal profilo gusto-olfattivo ricco e composito, che si armonizzi perfettamente con i profumi ed i sapori intensi della nostra preparazione. Vini austeri, aristocratici, e con un bouquet intenso e finissimo, morbidi, caldi, robusti e con una buona persistenza aromatica intensa, come il Faro Doc prodotto nella provincia di Messina.

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