CINEMA E TV
Film "queer" in rassegna al Lubitsch
E' iniziata la nuova rassegna al cinema Lubitsch di Palermo (via Guido Rossa,5), che non abbassa mai il livello delle attività proposte. Anche stavolta gli argomenti trattati sono delicati, provocatori, ultimamente molto abusati, spesso per autocelebrazioni di aperture mentali inesistenti, che in realtà celano confini molto ristretti, perbenismi troppo strutturati. Contro tutto ciò, l'attività degli organizzatori Andrea Caramanna, Paolo Greco e Franco Machì tenta di scuotere le menti di noi spettatori, invitandoci a superare le convenzioni socialmente accettabili, l'omologazione di definizioni appiccicate. Una rassegna sul cinema queer, cinema che deve lottare per non essere considerato solo un genere, che deve scardinare pregiudizi per diventare cinema. E può riuscirci solo provocando, gridando. Un cinema che milita attraverso il suo mezzo, che si mostra con più coraggio proprio perché più radicale. Pochi i registi selezionati, considerati fastidiosi, degni rappresentanti di “questa strategia d'attacco”, per una serie di film che si concluderà il 4 maggio. Ecco allora l'inglese Derek Jarman, con i suoi film visivamente violenti, che s'imprimono in modo indelebile: "Glitterburg" (9 marzo), concluso nel 1996, quando il regista scoprì di essere sieropositivo e da lì caratterizzò la sua produzione per la valenza autobiografica; "Jubilee" (6 aprile), in cui si immagina che la Regina Elisabetta faccia un viaggio nel XX secolo; o ancora i corti, per esempio l'interessante "Pirate Tape" (6 aprile), in cui Genesis P. Orridge invita niente poco di meno che William Burroughs a Londra per una serie di incontri. Quindi il canadese Bruce La Bruce che in "Hustler White" (9 marzo) indaga sulla mercificazione del sesso e sull'omosessualità attraverso immagini che si ispirano a Waters e Warhol, mentre in "Raspberry Reich" (13 aprile), propone e quasi suggerisce una sessualità che sia un'emancipazione, come negli anni settanta.
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