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"Fantasmi del Sud", un film sul dolore dell’immigrazione

Balarm
La redazione
  • 26 marzo 2007

Quarantotto minuti che indagano sul fenomeno dell’emigrazione siciliana degli anni ’50 valutandone, tra le cause storiche, non solo la reale miseria in cui vigevano le famiglie del tempo, ma anche il determinante ruolo svolto dall’avvento della televisione, per i poveri dell’epoca uno strumento di speranza. Si intitola “Fantasmi del Sud” l’ultimo mediometraggio del regista bagherese Marco Lanzafame, prodotto dalla casa indipendente Lanzafame & Clemente, con il contributo straordinario dei Comuni di Bagheria, Altavilla Milicia, Calatafimi e della Provincia di Palermo, che verrà presentato in prima nazionale martedì 27 marzo alle ore 21 al cinema Dante di piazza Lolli, a Palermo. Il film è stato in parte girato a Bagheria, nella cornice dei Cantieri Culturali Pio La Torre Rosario Di Salvo, l’ex magazzino ICRE requisito dal Comune alla mafia e recentemente restituito alla comunità; in parte all’interno di un treno storico per l’occasione restaurato.
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«Con lo splendido mediometraggio Fantasmi nel Sud, il Cineasta individua le coordinate dell’esilio; e, come un Sidney Sonnino del XXI secolo, individua cause ben precise» scrive nella sua recensione al film il critico Gregorio Napoli, che martedì sarà presente insieme al regista all’incontro col pubblico che precederà l’anteprima. «La segregazione e l’abbandono della civiltà agreste, certo. Ma soprattutto, l’avvento della tirannia da teleschermo». Ispirato all'omonima novella di Giuseppe Gironda, l’opera affronta il tema dell’emigrazione dal Sud al Nord Italia evidenziando infatti l’importanza nella drammatica vicenda della televisione che, diffondendo e raccontando per immagini il boom economico del tempo, diede l’unica e l’ultima speranza alla gente delle province del sud di trovare altrove una vita migliore. La trama, che ruota intorno una famiglia siciliana di fine anni ’50 con tre figli già emigrati e un figlio diciottenne ancora in Sicilia, rende il film la storia di un’attesa e si focalizza sul sentimento di ineluttabilità che lega i personaggi ai luoghi da raggiungere.

Se l’emigrazione rappresenta per loro la prospettiva, la televisione si comporta da strumento di socializzazione preventiva: nel racconto diventa coprotagonista del film quella collocata nella taverna del Paese, seducente attrattiva per i giovani che, stimolati dalle visioni che il mezzo propone, maturano gradualmente l’idea del trasferimento. Il ritratto di un’epoca offerto dalla vicenda narrata non può che intrecciarsi dunque alla riflessione sulla scelta, spesso obbligata, di partire per sopravvivere: la storia della famiglia protagonista diviene così uno spunto di riflessione per analizzare le tematiche che hanno determinato l’emigrazione, ma anche la storia siciliana di quel periodo, fatta di rinunce e traumi. E poco importa se chi parte possa contare sull’appoggio di un parente o di un amico già emigrato, né può far testo che il Nord sia italiano o americano: come lo stesso regista ha sottolineato, «Tra il trasferimento nel Nord Italia e quello all'estero possono esistere delle differenze, ma a emergere è sempre la stessa rinuncia alla propria identità».
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