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Egon Schiele: il segno è l’espressione

Curata da Vittorio Sgarbi, Rudolf Leopold e Romana Schuler, l’esposizione comprende una sessantina di dipinti e disegni che ricostruiscono la vita di Schiele

  • 13 giugno 2004

Corpi contratti, figure dalle grandi mani e dai grandi occhi scolpite da linee taglienti che sembrano tracciate a colpi d’accetta, colori che in alcuni casi esplodono nella loro virulenza e in altri si decantano nella leggerezza dell’acquerello. E poi, nudi maschili e femminili densi di un erotismo sofferto, paesaggi senza profondità, e su tutto, la potenza del segno e la forza comunicativa di uno dei più grandi artisti del novecento, Egon Schiele (1890-1918), protagonista della mostra visitabile fino al 1 agosto a Palazzo Ziino di Palermo (via Dante 53). Per la città si tratta sicuramente di un evento, anche se non di un caso del tutto isolato, visto che nella memoria di molti rimane ancora il ricordo dell’esposizione delle opere del maestro dell’espressionismo austriaco organizzata nel 1986 da Eva di Stefano presso la Fondazione Banco di Sicilia, provenienti dalla collezione di Serge Sabarsky; a distanza di vent’anni, i quadri e gli acquerelli di Schiele ritornano a Palermo, stavolta direttamente dal Museo Leopold di Vienna, ubicato presso il Museumquartier e inaugurato nel 2001, che raccoglie la più ricca scelta di pezzi collezionati con passione da Rudolf Leopold.

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Curata da Vittorio Sgarbi, Rudolf Leopold stesso e Romana Schuler, e promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune, l’esposizione comprende una sessantina di dipinti e disegni che ricostruiscono con efficacia il tormentato percorso d’arte e di vita di Schiele, esauritosi come una fiamma nell’arco di soli dieci anni, dal 1908, anno del suo debutto sulla scena artistica, al 1918, quando muore, a ventott’anni, di febbre spagnola: l’amore e la morte, la donna e se stesso, indagato nella sua natura di uomo e di artista tormentato e visionario in una ricca serie di autoritratti. Se per Oskar Kokoschka, l’altro protagonista dell’Espressionismo austriaco - proveniente, come Schiele, dalla costola di Gustav Klimt, il punto di riferimento assoluto per i pittori della Vienna postsecessionista – il decorativismo e la sensualità conturbante klimtiane divengono magmatiche deflagrazioni di colore e impasti di materia pittorica, drammatici contrasti di luci e ombre, in Schiele la linea di Klimt si fa aspra, acuta, sincopata, come dettata dall’ultimo sussulto dell’estasi amorosa che si fa pericolosa portatrice di pericolo e di morte, i corpi perdono ogni traccia di sensuale morbidezza per contrarsi e involvere in loro stessi.

In una Vienna di inizio novecento, dove il disagio esistenziale dell’individuo viene esplorato da scrittori come Schnitzler, Wedekind e Musil, e le sue pulsioni più recondite riaffiorano dall’inconscio grazie agli studi di Freud, Schiele provoca i benpensanti, mette in scena l’autoerotismo e la sfacciata nudità, attua attraverso le sue figure lo scavo verso la profonda verità interiore di se stesso e dell’uomo, deforma il corpo cercando di farla affiorare, scopre il baratro. Trova, infine, nella rassicurante unione con la borghese Edith, dopo la convivenza ai tempi scandaloso con la modella Wally, e nel figlio che stava per nascere una parvenza di rifugio e riscatto. Non ne ebbe il tempo, tra il 28 e il 31 ottobre del 1918, la spagnola contagia e uccide prima la moglie, al sesto mese di gravidanza, e poi lui stesso.

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