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E poi, finalmente, a Palermo è sceso il silenzio

Un tacere assordante di sguardi fissi sul disastro. Occhi assonnati, impauriti, increduli erano il lucido contraltare di pensieri, timori e speranze

  • 18 dicembre 2012

Di fronte al carapace deforme di una nuova tragedia palermitana, ad un tratto i Vigili del Fuoco hanno chiesto a tutti di fare silenzio. Pare sia la prassi: si prova a far squillare il cellulare di un disperso, per cercare di individuarlo più agevolmente sotto alle macerie. Pochi minuti, due o tre al massimo, non di più. Un lampo. O un'eternità durante la quale tutti hanno l'opportunità di sentire veramente ciò che quell'evento sta suggerendo ai loro occhi, alle loro anime, alle loro coscienze.

Ieri sera
ad ascoltare quel silenzio erano centinaia di persone. Un tacere assordante di sguardi fissi sul disastro. Occhi assonnati, impauriti, increduli erano il lucido contraltare di pensieri, timori e speranze unite a doppio filo ad un unico desiderio comune: avvertire quel suono. Nessun telefono ha squillato, ma mentre il vento sollevava la polvere, puntellando il viso delle persone come fossero stati pupazzi di sabbia, qualcuno, nonostante tutto, è riuscito ugualmente a sentirlo. Non importa che fosse reale o meno. Quel trillo ha riecheggiato forte nelle orecchie di tanti ieri sera.

Ha riecheggiato nella mente di una donna che ha porto un asciugamano ad un ragazzo, con i capelli sparati in testa e le dita ferite. Ha tuonato nelle orecchie di un uomo in pantofole, che alle 4 del mattino è uscito davanti casa con un thermos di caffè preparato per i soccorritori. Lo squillo l'ha sentito un vecchio con un cappello di lana, che piangendo diceva alla moglie di non piangere. E ancora l'ha ascoltato un sindaco che, anima vagante tra anime vaganti, sotto al paltò impolverato celava il primo petto di una città ferita.

Non è durato molto quel silenzio, ma è stato sufficiente perché ciascuno di loro avvertisse il suono più profondo del battito del proprio cuore, stretto sotto alle tonnellate di macerie abusive che sono i giorni nostri. Ferito da centomila harakiri quotidiani, ma che nonostante tutto persevera nella sua ininterrotta musica, consapevole della strada da seguire e della meta da raggiungere. Ci si può stancare del silenzio. È umano. È comprensibile. Solo una cosa è davvero imperdonabile: rinunciare a ritrovare, in quel silenzio, sotto quelle macerie, il suono del proprio cuore.

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