CINEMA E TV
Crialese, il regista di "Nuovomondo": «Un film sulla Memoria»
Da Venezia a Palermo. Dopo il Leone d’argento alla mostra della laguna il regista Emanuele Crialese ha presentato nel capoluogo siciliano “Nuovomondo”, suo terzo lungometraggio dopo “Once we were strangers” del 1997 e “Respiro” del 2002.
Il film, ambientato all’inizio del ‘900, racconta dell’emigrazione verso l’America di una famiglia di siciliani ed è segnato da una perfetta simbiosi tra stile documentaristico, con uso di macchina a mano, ed immagini fortemente oniriche.
«Ho studiato molto per poter raccontare questa storia in modo svincolato dalla forma – dice il regista presente all'anteprima del film a Palermo – Preferisco parlare, piuttosto che di Storia, di Memoria, che è selettiva, personale. Per questo mi sono concentrato nella ricostruzione delle lettere che gli emigrati mandavano in patria, le cosiddette "parole di carta", che spesso contenevano un sacco di bugie sulle effettive condizioni in cui vivevano, perché gli emigrati volevano difendere il loro sogno».
La valenza realistica si ritrova nell’uso del dialetto: «è fondamentale - prosegue - perché il modo di parlare dei siciliani denota il loro carattere. Il dialetto è qualcosa che non deve andare perduto, è una lingua antichissima e bellissima. Ed inoltre mi è servito molto nella costruzione dei dialoghi, perché l’italiano è asettico invece il dialetto è una cosa vera che consente di riallacciarsi alla realtà».
Le riprese sono state effettuate tra la Sicilia e l’Argentina. «È stato eccitante andare in un posto nuovo, sconosciuto – ricorda Vincenzo Amato – Buenos Aires è una città con molti fantasmi, anche belli. Gli argentini sono nostri cugini, è un’altra Italia cui tutti dovremmo guardare perché hanno avuto meno fortuna, ma c’è una grande modestia, un’atmosfera di umiltà ed aiuto reciproco». Francesco Casisa gli fa eco:«“in Argentina ho ritrovato la Sicilia anni cinquanta, tanta gente che lavora sodo ed è pure contenta, e non si vanta come magari fanno qui oggi». Per Crialese è stata una grande emozione: «Gli argentini - dice - hanno avuto una storia come questa, e molte delle comparse con cui abbiamo lavorato hanno rivissuto nella nostra storia l’epopea delle loro famiglie. Una cosa che non avremmo mai avuto se avessimo girato in Nordamerica».
Il titolo internazionale è “Golden door”, che è il modo in cui gli americani definivano la zona tra Ellis Island e la costa vera e propria, quella sorta di purgatorio dove i migranti venivano sottoposti ad infiniti esami prima di essere ammessi sul suolo americano. «Quello che nessuno ha raccontato prima – sottolinea Crialese – è che a Ellis Island si facevano i primi test psicologici, i primi studi di eugenetica per tentare di capire la diversità delle razze e misurare l’intelligenza dell’uomo.
Questo ha una grande rilevanza sulla struttura del film: «All’inizio l’uomo è integrato nella sua terra, nella natura; alla fine è chiuso in questi enormi palazzi di cui non si vede neanche il soffitto, e viene studiato e sezionato. È l’inizio della tragedia umana», sostiene ancora Crialese. Ma il regista sottolinea di non voler in alcun modo dare un messaggio: «Io mi pongo continuamente delle domande e cerco di descrivere con le immagini queste domande che mi ossessionano». E «la vicinanza all’attualità, con gli sbarchi degli immigrati sulle nostre coste, è una coincidenza, anche perché la sceneggiatura è del ’99. Però potrebbe offrire un ottimo spunto di discussione».
Vincenzo Amato ricorda che “tra fine ottocento e primo novecento emigrarono circa venti milioni di italiani, che andarono ovunque nel mondo. Gli italiani di oggi dovrebbero ricordarselo quando arrivano gli immigrati dal Nordafrica, tanto più che non vengono a rubare lavoro a noi, l’Italia non è la meta ma il trampolino per l’Europa. Inoltre il sistema di accoglienza è molto più arretrato adesso di cento anni fa». La produzione è firmata dalla Titti film di Fabrizio Mosca (già produttore de “I cento passi” di Marco Tulio Giordana), da Memento films e da Respiro, in collaborazione con Rai Cinema. La distribuzione per l’Italia è di 01 Distribution.
Il film, ambientato all’inizio del ‘900, racconta dell’emigrazione verso l’America di una famiglia di siciliani ed è segnato da una perfetta simbiosi tra stile documentaristico, con uso di macchina a mano, ed immagini fortemente oniriche.
«Ho studiato molto per poter raccontare questa storia in modo svincolato dalla forma – dice il regista presente all'anteprima del film a Palermo – Preferisco parlare, piuttosto che di Storia, di Memoria, che è selettiva, personale. Per questo mi sono concentrato nella ricostruzione delle lettere che gli emigrati mandavano in patria, le cosiddette "parole di carta", che spesso contenevano un sacco di bugie sulle effettive condizioni in cui vivevano, perché gli emigrati volevano difendere il loro sogno».
La valenza realistica si ritrova nell’uso del dialetto: «è fondamentale - prosegue - perché il modo di parlare dei siciliani denota il loro carattere. Il dialetto è qualcosa che non deve andare perduto, è una lingua antichissima e bellissima. Ed inoltre mi è servito molto nella costruzione dei dialoghi, perché l’italiano è asettico invece il dialetto è una cosa vera che consente di riallacciarsi alla realtà».
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Vincenzo Amato, attore feticcio di Crialese ed interprete degli altri due lungometraggi del regista, parla del suo personaggio, il pater familias Salvatore Mancuso: «ho avuto difficoltà ad interpretarlo - afferma - lo sentivo molto lontano da me: io, che sono nato in una città e vivo da tempo in una grande metropoli, ho dovuto interpretare un contadino siciliano, una "razza" nobile che non esiste quasi più. Inizialmente ho avuto molta paura. Io, Francesco Casisa e Filippo Pupillo - gli attori che interpretano Angelo e Pietro, i figli di Salvatore - abbiamo vissuto per tre mesi in campagna, nelle Madonie, a lavorare con i contadini. E alla fine, quando sono arrivato sul set, pur con gli abiti di scena e il trucco, ho ritenuto di meritare di rappresentare questa realtà sullo schermo».Le riprese sono state effettuate tra la Sicilia e l’Argentina. «È stato eccitante andare in un posto nuovo, sconosciuto – ricorda Vincenzo Amato – Buenos Aires è una città con molti fantasmi, anche belli. Gli argentini sono nostri cugini, è un’altra Italia cui tutti dovremmo guardare perché hanno avuto meno fortuna, ma c’è una grande modestia, un’atmosfera di umiltà ed aiuto reciproco». Francesco Casisa gli fa eco:«“in Argentina ho ritrovato la Sicilia anni cinquanta, tanta gente che lavora sodo ed è pure contenta, e non si vanta come magari fanno qui oggi». Per Crialese è stata una grande emozione: «Gli argentini - dice - hanno avuto una storia come questa, e molte delle comparse con cui abbiamo lavorato hanno rivissuto nella nostra storia l’epopea delle loro famiglie. Una cosa che non avremmo mai avuto se avessimo girato in Nordamerica».
Il titolo internazionale è “Golden door”, che è il modo in cui gli americani definivano la zona tra Ellis Island e la costa vera e propria, quella sorta di purgatorio dove i migranti venivano sottoposti ad infiniti esami prima di essere ammessi sul suolo americano. «Quello che nessuno ha raccontato prima – sottolinea Crialese – è che a Ellis Island si facevano i primi test psicologici, i primi studi di eugenetica per tentare di capire la diversità delle razze e misurare l’intelligenza dell’uomo.
Questo ha una grande rilevanza sulla struttura del film: «All’inizio l’uomo è integrato nella sua terra, nella natura; alla fine è chiuso in questi enormi palazzi di cui non si vede neanche il soffitto, e viene studiato e sezionato. È l’inizio della tragedia umana», sostiene ancora Crialese. Ma il regista sottolinea di non voler in alcun modo dare un messaggio: «Io mi pongo continuamente delle domande e cerco di descrivere con le immagini queste domande che mi ossessionano». E «la vicinanza all’attualità, con gli sbarchi degli immigrati sulle nostre coste, è una coincidenza, anche perché la sceneggiatura è del ’99. Però potrebbe offrire un ottimo spunto di discussione».
Vincenzo Amato ricorda che “tra fine ottocento e primo novecento emigrarono circa venti milioni di italiani, che andarono ovunque nel mondo. Gli italiani di oggi dovrebbero ricordarselo quando arrivano gli immigrati dal Nordafrica, tanto più che non vengono a rubare lavoro a noi, l’Italia non è la meta ma il trampolino per l’Europa. Inoltre il sistema di accoglienza è molto più arretrato adesso di cento anni fa». La produzione è firmata dalla Titti film di Fabrizio Mosca (già produttore de “I cento passi” di Marco Tulio Giordana), da Memento films e da Respiro, in collaborazione con Rai Cinema. La distribuzione per l’Italia è di 01 Distribution.
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