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Bartman, inguaribile “iconolatra”

  • 3 aprile 2006

Non v’era miglior luogo che una "libreria dello spettacolo", piccolo paradiso per amateurs, straripante di libri e pubblicazioni dedicati al cinema, al teatro, alla televisione per la mostra “Bartman”, la personale dell’artista palermitano Bartolomeo Manno sponsorizzata dalla Provincia di Palermo (Libreria Broadway, via Rosolino Pilo, 18, sino al 29 aprile. Orari 9/13 e 16/19.30, ingresso libero; per info: Tel: 091/6090305; www.libreriabroadway.it). Se la libreria Broadway dello spettacolo celebra la storia, Bartman ne celebra i miti e le icone, attraverso una popolatissima galleria di immagini ispirate alle più note e attuali campagne pubblicitarie, ai tormentoni mediatici e ai miti dell’arte pop.

Per apprezzare al meglio questi ricchi collages è necessario superare l’impulso - automatico e in certo modo necessario - del primo riconoscimento, la premura di individuare il contesto di appartenenza, la caccia all’identificazione di loghi, slogans e campagne. Nelle opere di Bartman infatti le immagini sembrano “rubate”: esse smettono di appartenere alla reclame di origine, svestono i panni di veicolo commerciale e si trasformano in stilemi; divengono componenti di un discorso nuovo e unico, così assumendo un significato autonomo e originale. Il risultato sono dei coloratissimi puzzles, dei rebus da interpretare ricostruendo il possibile significato che ogni icona viene ad assumere nel contesto in cui adesso vive.
Bartman si definisce un “iconolatra”, termine quanto mai suggestivo! E in effetti, osservando le sue opere, è questa l’idea che di lui si compone: un avido collezionista di immagini, con gli occhi spalancati su tutti i veicoli di trasmissione (o mass media, se preferite), aperto a tutti gli stimoli, costantemente impegnato in questa recherche iconografica che non risparmia né snobba niente, e spazia dalle grandi opere pop alle più note e recenti réclames di moda, da Manu Chao al cardinal Ruini e all’immancabile, inconfondibile, sempre presente (negli ultimi tempi più che mai!) Berlusca.

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L’arte di Bartman è un fagocitare e riprodurre immagini che, come nella migliore tradizione pop, ripropone all’inverso il processo di vita delle fotografie pubblicitarie. L’immagine ciclostilata viene rapita, assunta dall’artista: passa dalla “riproducibilità tecnica” che la rende banale e ripetitiva, alla riproduzione artistica e, una volta reinterpretata dal processo creativo dell’artista, smette di essere una fra milioni: grazie all’elezione, diventa unicum. Essa torna così al mondo cui storicamente è appartenuta e da cui la pubblicità l’ha violentemente sottratta, quello dell’arte e, proprio grazie a questo processo all’inverso, recupera quella che Walter Benjamin definiva la sua “aura”, un magico alone che fa di un’opera d’arte un esemplare unico, originale e irripetibile, irrimediabilmente superato dai meccanismi automatici della riproducibilità tecnica. La scelta dei richiami ai grandi maestri della pop art è ancora un atto pop. Di essi infatti Bartman propone soprattutto le icone più fortunate e universalmente conosciute: i bersagli di Jasper Jones, i volti di Marylin, i fumetti e le piramidi di Lichtenstein, il coltellino rosso di Dine… I capolavori storici si piegano al gioco e partecipano ai nuovi, variegati collages, accostati, in modo solo apparentemente incomprensibile, ad altre icone variopinte.

Così al titolo-domanda della più celebre opera di Hamilton, "Just what is it that makes today´s homes so different, so appealing?", Bartman risponde con una piccante immagine femminile che esce dal monitor di un telefonino d’ultima generazione e con un gigante schermo al plasma sintonizzato su "Incantesimo" (poveri noi, verrebbe da dire!).
In Edil Plastic, una delle opere più affascinanti, cambiano completamente le suggestioni. Il motto adesso sembrerebbe “quando l’icona si fa lirica”, dal momento che in essa uno dei più fortunati versi della poesia italiana (il leopardiano «e il naufragar m’è dolce in questo mare»… altra scelta pop?!), viene accostato a paesaggi "infiniti" per eccellenza: il mare che si perde all’orizzonte, una finestra aperta su un’intensa distesa di verde e lo spettro di luce che, riflesso su un prisma, si emana all’infinito (direttamente e inconsapevolmente ispirato alla celebre copertina di "Dark side of the moon" dei Pink Floyd). Dice bene Michele Cometa che, nel breve testo critico sul catalogo della mostra, parla di zapping. In effetti è questa la sensazione con cui si esce da questa mostra, quella di aver contemplato un veloce, frenetico e imprevedibile zapping fra le icone che quotidianamente e incessantemente popolano, occupano, invadono il nostro immaginario.

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