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Lui ebreo e socialista, l'altro fascista: l’incontro (segreto) di Pirandello ed Einstein

Sappiamo che più volte i due “geni” erano stati accostati da critici, studiosi e giornalisti, per alcune analogie, loro che sulla carta erano cosi diversi. Ecco quali

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 6 settembre 2024

Pirandello ed Einstein

Due grandi geni del Novecento, Luigi Pirandello ed Albert Einsten, ebbero modo di incontrarsi per un colloquio strettamente privato nel campus di Princeton, nel 1935 e ad invitare lo scrittore e drammaturgo siciliano per un tête-à-tête fu proprio Einstein.

Per Pirandello, a cui era stato conferito il premio Nobel per la letteratura nel dicembre del 1934, si trattava del secondo viaggio negli Stati Uniti.

Lo scrittore era sbarcato per la prima volta nel nuovo continente nove anni prima, ed allora era stato accolto con tutti gli onori da centinaia di ammiratori, tanto che aveva scritto a Marta Abba, sua musa ispiratrice: “Allo scalo ho trovato una rappresentanza della Società Italo – Americana, di cui sono ospite…associazioni d’Italiani emigrati…e all’uscita, una folla infinita, di migliaia e migliaia di persone, che mi hanno accolto come sovrano con grida di evviva e applausi strepitosi. Non mi sarei mai aspettato tanto”.
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Nel 1925 Pirandello aveva fondato con la stessa Abba e con Ruggero Ruggeri la Compagnia del Teatro d’Arte di Roma, nel tentativo di riformare il teatro italiano; con questa compagnia aveva cominciato a viaggiare per il mondo e le sue opere erano state rappresentate anche a Broadway.

Nell’estate del 1928 si era conclusa la grande avventura del Teatro d’Arte e Pirandello si era trasferito in Germania fino all’estate del 1930. A Berlino tra il luglio e il novembre 1929 aveva scritto Come tu mi vuoi, successo teatrale da cui nel 1932 era stato tratto il film As You Desire Me con Greta Garbo e Erich von Stroheim.

Era stata la prima collaborazione di Pirandello con l’industria di Hollywood, ma non il suo primo incontro con il cinema (sono circa una dozzina i film tratti da opere di Luigi Pirandello, tra il 1918 e il 1936, anno della sua scomparsa): alla decima musa il drammaturgo era interessato già da molto tempo.

Quello di Pirandello col cinema è stato un rapporto complesso: questa nuova forma espressiva sembrava all’inizio fare a pugni con la concezione dell’arte del maestro, ma dopo molti dubbi iniziali questi aveva finito per cedere, soprattutto per ragioni economiche; ecco cosa aveva scritto infatti a Marta Abba il 17 maggio 1930: «L’avvenire dell’arte drammatica ed anche degli scrittori di teatro è adesso là. Bisogna orientarsi verso una nuova espressione d’arte: il film parlato. Ero contrario, mi sono ricreduto».

Pirandello sperava dunque nel 1935 di riuscire a trovare la chiave di accesso per vedersi spalancare le porte di Hollywood: voleva intavolare trattative con le maggiori case di produzione cinematografica, per la trasposizione sul grande schermo delle Maschere nude. Furono mesi di attese; di promesse e di incontri che non ebbero nessun esito concreto.

Il drammaturgo, amareggiato e deluso, scrisse al figlio Stefano: “La nausea di cui m’ha riempito fino alla gola il contatto continuo di tre mesi con questa gente che s’occupa di spettacoli, che vive di spettacoli, offendendo brutalmente l’arte e quanto essa ha di più intimo e segreto”.

In quei lunghi mesi non se ne stette certo con le mani in mano, lavorò alla raccolta di novelle Una giornata e iniziò il romanzo, poi incompiuto, Informazioni su un involontario soggiorno sulla terra. In quell’estate del 1935 avvenne inoltre l’incontro con Albert Einstein, premio Nobel per la fisica nel 1921 e docente di fisica all’Institute for Advanced Study di Princeton.

Sappiamo che più volte i due “geni” erano stati in passato accostati da critici, studiosi e giornalisti, per alcune analogie: Einstein padre della teoria della relatività dello spazio e del tempo e Pirandello narratore della relatività dell’Io, per cui la persona può essere solo personaggio e può essere Uno, Nessuno e Centomila.

Riguardo a certe divagazioni si era espresso lo stesso scrittore siciliano, in un’intervista del 1922 pubblicata su “Epoca, affermando per altro di non conoscere nè Einstein, nè le sue teorie: “Ebbene, quei problemi erano unicamente miei, erano sorti spontanei nel mio spirito, si erano naturalmente imposti al mio pensiero.

Solo dopo, quando i miei primi lavori apparvero, mi fu detto che quelli erano i problemi del tempo, che altri, come me, in quello stesso periodo si consumavano su di essi”. Il contenuto del colloquio tra i due premi Nobel è rimasto segreto: non ci è dato sapere i temi affrontati.

Si dice che in passato, si fossero già incontrati in Europa e che Einstein, proprio per quelle analogie di cui sopra, avesse esclamato: “Noi siamo parenti!”, senza tener minimamente conto lui stesso per primo dei diversissimi aspetti che invece li contrapponevano, non per ultimo che mentre il fisico era ebreo e con simpatie socialiste, apertamente fascista era Pirandello.

Albert Einstein si era trasferito negli Stati Uniti nel 1933, con l’avvento del nazismo e con l'intensificarsi delle persecuzioni anti-semitiche; Luigi Pirandello, quasi 10 anni prima, il 17 settembre del 1924 aveva scritto al Duce per chiedere l’iscrizione al Partito Nazionale Fascista: quel telegramma inviato a Mussolini con il quale si dichiarava il “più umile e obbediente gregario”, venne pubblicato a mezzo stampa avendo quindi massimo risalto.

L’adesione al fascismo era pure una delle più marcate ragioni per cui Luigi Pirandello era stato accolto con grande freddezza nel suo secondo viaggio negli States: era stato apertamente attaccato anche durante una nota conferenza stampa, in cui era stata aspramente criticata la politica espansionista italiana in Etiopia.

Lo scrittore siciliano ribatté accusando di ipocrisia i giornalisti americani: «Anche l’America era un tempo abitata dagli Indios e voi l’avete occupata. Se era diritto il vostro, lo è anche il nostro».

Si legge nel libro dello storico americano John Patrik Diggins, "L'America, Mussolini e il Fascismo: "Quando nel 1935 Pirandello arrivò negli Stati Uniti, parecchi commediografi, tra i quali Clifford Odets e John Howard Lawson, andarono a trovarlo nel suo appartamento al Waldorf Astoria. Essi cercarono di indurlo a sconfessare il fascismo e a ripudiare l'invasione dell'Etiopia. Ma Pirandello invocò l'autonomia dell'arte dalla politica, e il colloquio terminò in uno stato d'animo di reciproco rancore”.

Sul rapporto tra Pirandello e il fascismo si è scritto molto, sottolineando spesso che dopo un iniziale entusiasmo, il drammaturgo apparve negli anni successivi del regime sempre più distante da una partecipazione politica attiva. Ha confutato questa tesi il recente libro di Piero Meli, Luigi Pirandello. "Io sono fascista" (2021), con un’analisi storica che si giova anche di citazioni attinte ai giornali dell’epoca e a notizie di cronaca dimenticate.

Secondo Meli lo scrittore non prese mai pubblicamente le distanze dal regime, come ricordano anche riconoscimenti ed episodi clamorosi quali l'accettazione del ruolo di guardia d'onore al Palazzo delle Esposizioni nel 1935 e l'offerta della medaglia del Nobel contro le "inique sanzioni".

Pirandello morì a Roma il 10 dicembre 1936. Einstein si spense a Princeton nel 1955. Erano entrambi atei.

"Però, chiunque sia seriamente impegnato nella ricerca della scienza si convince che un qualche spirito, molto superiore a quello dell‘uomo, è manifesto nelle leggi dell`universo" scrisse Albert Einstein in una lettera del 1936 in risposta a quella di un bambino, che gli aveva chiesto se anche gli scienziati pregassero e per che cosa; mentre Per Divo Barsotti: «la religione di Pirandello è tutta qui: la solitudine infinita dell’uomo senza Dio».
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