STORIE
Lottare sempre, arrendersi mai: la storia di Eduardo che ha commosso Palermo
“Campylobacter” è il nome del batterio che Eduardo ha contratto appena un anno fa per colpa di un coltello di un macellaio non pulito bene e che aveva tracce di carne infetta
Eduardo De Filippis
Si chiama “Campylobacter” il batterio che Eduardo ha contratto appena un anno fa per colpa di un coltello di un macellaio non pulito a dovere e che presentava tracce di carne di pollo cruda infetta: e il risultato per Eduardo sono stati la sedia a rotelle e 402 giorni di black out totale per il suo corpo, di cui 78 giorni passati totalmente paralizzato dalle gambe in su.
«Un giorno all’improvviso ho perso completamente il tono muscolare e mi sono ritrovato accartocciato a terra e ad essere come un bambino di 8 mesi che gattona» racconta Eduardo. Un vero incubo dal quale però oggi Eduardo dice di esserne uscito migliorato perché «quando la vita ti mette di fronte a certe sfide così dure, non puoi fare altro che toccarne con mano l’essenza e l’importanza e dopo, per chi come me ha la fortuna di poterlo raccontare, per assurdo, inizi a vivere meglio perché tutto ti sembra più semplice di come lo ricordavi» dice Edo.
Cure sbagliate, medici perplessi, notti insonni e domande alle quali non seguivano risposte certe o convincenti, finché il 29 novembre Edo viene trasferito all’Ospedale Giglio di Cefalù dove – dice lui – «si è compiuto ciò che era giusto compiersi».
«Io ancora oggi non mi sono reso conto a pieno realmente della gravità di ciò che mi è capitato, e probabilmente la mia forza interiore è stata proprio questa – dice Edo – perché anche se ero seduto su quella sedia a rotelle senza che le mie braccia e le mie gambe rispondessero agli impulsi neurologici inviati dal mio cervello, dentro di me davo per scontato che quella era solo una situazione transitoria e che prima o poi mi sarei certamente rialzato».
Una storia a lieto fine grazie alla determinazione di chi non è intenzionato ad arrendersi. «Ad ogni colpo del virus ho reagito con un contraccolpo, non bisogna mai abbattersi ma lottare senza sosta per salvaguardare ciò che di più caro ci hanno regalato che è la vita».
«Più che un miracolato, oggi mi sento un fortunato perché da quell’esperienza ho imparato e sono cambiato tanto, vivo meglio e in maniera più sana, perché ho rivisto e rivalutato le mie priorità». È clinicamente guarito, ha ripreso in gran parte il controllo della sua vita anche se ancora oggi Eduardo deve fare i conti con gli strascichi della malattia.
«Non ne sono ancora uscito del tutto, ho ripreso la mia vita e una parziale mobilità ma combatto ancora con le conseguenze di quel che ho avuto – dice Edo - la mano sinistra si è aperta a fine aprile, quella destra ancora fa un po’ le bizze, il mio stomaco non funziona bene, il danno neurologico rimane per adesso, la riabilitazione è lunga ma il grosso è stato fatto».
Nei giorni scorsi, davanti ad un gin tonic, Eduardo ha voluto raccontare “a cuore aperto” l’esperienza della sua malattia scrivendo un lungo post su Facebook che terminava così: «Bisogna sempre credere in se stessi ed affrontare tutto con la consapevolezza di farcela, perché nel bene o nel male, fin quando il cuore continua a battere bisogna sempre lottare per la cosa più bella che ci è stata donata: la vita! Fottiti campylobacter. Noi non abbiamo MAI mollato!».
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